
Il
ragionier Biraghi, della Compart Olson Limited Co., era forse
l’ultimo dei cittadini che avevano resistito tenacemente
all’acquisto di una Macchina di Berg. Ora però non c’era stata
via d’uscita.
Quella
mattina il suo capo, dottor Versili, l’aveva chiamato nel suo
ufficio e con modi molto amabili gli aveva detto:
—
Ragioniere, lei collabora con noi da molto tempo e siamo felici della
sua opera. Tuttavia nel corso di quest’anno vi sono state
lamentele, oh, molto garbate s’intende, da parte dei suoi colleghi.
La prego di non amareggiarsi e consideri questa mia comunicazione
come la voce di un amico. Ecco, alcuni riferiscono che in questi mesi
il suo comportamento si è fatto via via sempre più scontroso e
offensivo...
Il
dott. Versili gli aveva poi ricordato, sorridendo, le molte occasioni
in cui s’era lasciato andare a gesti di collera, come quella volta
in cui aveva lanciato il fermacarte contro un cliente, o quando aveva
calpestato sotto i piedi il dischetto dei file delle consegne non
ancora effettuate...
Alla
fine il capo l’aveva congedato accompagnandolo alla porta e
mettendogli paternamente una mano sulla spalla.
—
Mi raccomando ragionier Biraghi, segua il mio consiglio. Si decida ad
acquistare una Macchina di Berg. Per la verità questa non è un’idea
mia, ma è un preciso ordine del computer direzionale, e lei sa come
sono i computer. Non ci mettono molto a licenziare il personale...
Così
eccolo qui, il ragionier Biraghi, con la scatola rossa e blu sotto
braccio, diretto a grandi passi verso il suo appartamento.
Che
la Macchina di Berg fosse ormai diventata una necessità nessuno
poteva metterlo in dubbio, neppure coloro che, come il ragionier
Biraghi, avevano sostenuto a oltranza l’ideale di una vita semplice
e naturale. Anche i più intransigenti dovevano riconoscere che
trent’anni prima la macchina aveva risolto un problema di portata
catastrofica. Intorno al 2085, infatti, per ragioni che nessuno era
riuscito ancora a stabilire, gli uomini cominciarono a perdere la
capacità di sognare.
Qualcuno
parlò di un virus, altri dell’effetto di onde elettromagnetiche,
altri ancora di radiazioni cosmiche. Chi parlò di U.F.O., chi di una
nuova arma o di un esperimento sfuggito al controllo degli
scienziati. Chi ci vide un piano deliberato e chi un castigo divino.
Fatto sta che nel giro di un paio d’anni sul pianeta non c’era un
solo essere umano ancora in grado di sognare.
Tutti
dormivano, come avevano sempre fatto, ma i sogni erano scomparsi
dalle loro notti.
Il
fenomeno si rivelò ben più grave di quanto si fosse potuto
supporre. L’incapacità di sognare aveva determinato nelle persone
un aumento esponenziale dell’aggressività: gli uomini litigavano
per ragioni del tutto banali, si ferivano e arrivavano anche a
uccidersi, mariti che bruciavano le loro mogli, ragazzi non ancora
ventenni che stupravano e ammazzavano a colpi di coltello, persone
normali che improvvisamente prendevano un piccone e colpivano a morte
i passanti...
Le
nazioni stesse s’erano fatte talmente aggressive che il mondo era
ormai sull’orlo di una devastante guerra nucleare.
Poi,
al momento giusto, Berg inventò la sua macchina. Una trovata
straordinaria: si trattava di una cuffietta di fibra metallica che
veniva indossata prima di mettersi a dormire; un sensore registrava
l’intera gamma di onde cerebrali e le rinviava al cervello sotto
forma di suoni e di immagini. La macchina di Berg non si limitava a
trasmettere una sorta di film, ma in pratica leggeva e ripristinava
quei dati dell’inconscio che non riuscivano più a risalire alla
coscienza. I sogni che produceva erano gli stessi che anni prima il
soggetto avrebbe sognato spontaneamente, soltanto più intensi. In
tal modo i rapporti tra le persone si andarono normalizzando e la
guerra fu scongiurata.
Il
ragionier Biraghi conosceva bene questa storia, anche se risaliva ai
tempi della sua adolescenza, ma in nome di un’utopia alquanto
confusa, aveva rifiutato di usare la macchina. Lui era un tipo
assolutamente calmo e senza grilli per la testa, inoltre viveva da
solo, perché mai avrebbe dovuto usare quel marchingegno che gli
penetrava nel cervello? Se doveva dormire senza sognare, beh,
pazienza, non avrebbe sognato.
Fino
a quel mattino, però, non s’era reso conto che la mancanza di
sogni lo stava trasformando in un individuo violento. Forse con il
suo capo c’era ancora spazio per discutere, ma non con il computer
e l’alternativa era semplice e netta: o la macchina o il
licenziamento.
Aveva
scelto la prima soluzione, ovviamente, anche se aveva un lavoro da
schifo: tutto il giorno a registrare le consegne effettuate e quelle
da effettuare, a tener conto di giorni e di ore, a verificare le
firme sulle bollette di consegna... C’era da uscirne pazzi! Però
adesso che la decisione l’aveva presa, era perfino contento e non
vedeva l’ora di usare la sua nuovissima Macchina di Berg.
Chissà
quali sogni gli avrebbe trasmesso. Il venditore gli aveva spiegato
che non si potevano prevedere i sogni che la macchina avrebbe inviato
al cervello, proprio come non si potevano prevedere quelli di una
volta, quando la gente sognava normalmente.
Nel
consegnargliela aveva aggiunto:
—
Questo è un nuovo modello, è stato potenziato e offre maggiore
affidabilità. Però l’avverto, ragioniere: i primi sogni in genere
non sono mai troppo gradevoli perché sono carichi di complessi
nevrotici da molto tempo irrisolti. L’inconscio ha bisogno di
scaricarsi e di riequilibrarsi, e il processo può risultare
abbastanza traumatico per la psiche. Però non tema, al risveglio si
renderà conto che gli incubi rappresentano una catarsi necessaria e
il suo umore ne trarrà subito grande beneficio. Vedrà come si
sentirà bene. Ecco a lei la macchina, mi raccomando, legga
attentamente le istruzioni.
Come
aprì la porta del suo appartamento, il ragionier Biraghi imprecò.
Accidenti! Peggio di una fornace! Con un luglio tanto caldo proprio
adesso il condizionatore doveva guastarsi? Purtroppo il suo stipendio
non gli permetteva un apparecchio migliore. Ora però sarebbe stato
un bel problema riuscire a dormire con quella temperatura.
Spalancò
la finestra e ciò gli diede un minimo di sollievo, poi, con le mani
tremanti d’eccitazione, aprì la scatola e ne estrasse una bella
cuffietta composta da migliaia di fili argentei intrecciati. Cominciò
a leggere il foglio delle istruzioni. L’uso era semplicissimo,
bastava mettersela in testa e indossare un braccialetto recante una
spia luminosa e un pulsantino rosso, quindi ci si distendeva per
dormire e si premeva il pulsantino. Tutto qui.
C’erano
delle avvertenze. Poiché la macchina garantiva un sonno molto
profondo e ristoratore, era bene indossare indumenti leggerissimi, al
fine di evitare soffocamenti, inoltre si consigliava di eliminare
dalla stanza oggetti pericolosi su quali ci si potesse ferire
(mobiletti con spigoli acuti, bottiglie sul pavimento, ecc.).
C’era
anche un’avvertenza per il pericolo dei ladri:
“Poiché
la coscienza del soggetto è fortemente e stabilmente impegnata nel
sogno, egli non è consapevole di rumori o di presenze estranee. È
necessario pertanto mettere in atto tutte le
precauzioni
atte a proteggersi da possibilità di effrazioni.” E ancora: “Si
raccomanda caldamente di chiudere con cura porte e finestre prima di
accingersi a dormire.”
Il
ragionier Biraghi era ligio alle istruzioni e fece tutto ciò che era
raccomandato nel foglietto, anche se la questione delle effrazioni lo
fece sorridere.
“Da
quando hanno inventato le serrature psicosensibili” pensò “ i
furti sono diventati una rarità.
Io
poi abito all’ottavo piano e vorrei proprio vedere un ladro che
entra dalla finestra. Beh, facciamo comunque quello che dicono,
almeno non ci sarà il rischio che venga un piccione a cacarmi in
faccia mentre dormo. Ah ah!”
Chiuse
la porta d’ingresso e le varie finestre, andò a lavarsi i denti e
a sciacquarsi la faccia, quindi, com’era sua abitudine, riempì un
bicchierino di vodka e lo bevve d’un fiato, poi si spogliò e si
distese sul letto. Un po’ emozionato s’infilò la cuffietta e
premette il bottoncino rosso. Che sarebbe successo ora?
Non
avvenne nulla, la macchina non emetteva neppure un debole ronzio,
eppure stava funzionando perché il led del bracciale s’era acceso
e una rassicurante lucina verde pulsava pigramente.
Faceva
però caldo, troppo caldo per dormire. Come si fa a stare nel mese di
luglio in una stanza ermeticamente chiusa e con il condizionatore
spento?
Il
ragionier Biraghi era tutto sudato e respirava a fatica. Dopo dieci
minuti si rese conto che in quelle condizioni non si sarebbe mai
addormentato e anzi c’era il pericolo che gli venisse un collasso.
Sbuffando
s’alzò e spalancò la finestra. Ah, la notte portava finalmente un
po’ di frescura! Al diavolo i ladri! Adesso poteva finalmente
riposare.
Mentre
era sul punto di prender sonno, s’accorse che stava avvenendo
qualcosa di diverso dalle altre volte.
Di
solito s’addormentava e si svegliava al mattino senza neppure la
coscienza di aver dormito. Apriva gli occhi e tutto ciò che
ricordava era il momento in cui aveva spento la luce. Ora invece si
vedeva prigioniero in una cella lurida e stretta, con pareti di
intonaco giallastro, incrostate di muffa.
Era
tuttavia consapevole di sognare e pensò:
“Certamente
questa cella è un simbolo. Rappresenta lo stato di costrizione in
cui si trova il mio inconscio. È come guardare un film.”
Ma
non era proprio un film, perché l’immagine gli procurava un senso
di angoscia che nessun film avrebbe potuto trasmettergli con tale
intensità.
“Questa
è solo la mia psiche che reagisce” si disse, ma ciò non bastò a
rassicurarlo. Poi la sua coscienza s’immerse nel sogno e il
ragionier Biraghi non ebbe più altra consapevolezza se non la cella
in cui era rinchiuso.
Le
pareti erano sfregiate da un gran numero di crepe profonde e l’uomo
sbarrò gli occhi quando vide un grosso scarafaggio uscire da una di
queste. L’insetto agitò per un momento le antenne, quindi prese a
correre verso l’uomo che lo schiacciò velocemente con la scarpa.
Altre blatte cominciarono a sbucare dalle varie crepe e ben presto
tutto il pavimento divenne un brulicare di zampe e di antenne, mentre
un forte odore di putridume appestava l’aria.
Il
ragionier Biraghi, sopraffatto dalla rabbia e dal disgusto, urlava e
schiacciava le bestie con una frenesia folle, ma per ciascuna blatta
uccisa altre dieci ne prendevano il posto. Ed egli schiacciava e
schiacciava, come un grottesco contadino che pigia sotto i piedi
un’uva velenosa. Sul suolo s’era formata una pozza nera,
putrescente e fangosa, che mandava un puzzo insopportabile. A un
tratto il ragioniere s’accorse di una piccola feritoia che riluceva
debolmente a una decina di metri d’altezza. La cella adesso aveva
assunto una forma circolare che sprofondava verso l’alto, lunga e
stretta come un tubo di pietra. In quell’istante l’uomo avvertì
un delicato formicolio risalire lungo la gamba e preso dal panico
s’avventò urlando contro la parete, come a volerla abbattere con
la sola forza della disperazione. Ma non urtò la parete, scoprì
invece che, come un ragno, poteva arrampicarsi. Anzi, il suo corpo
umano non c’era più, lui era solo un grosso ragno che saliva verso
la luce!
Raggiunse
la feritoia e in quel mentre il suo corpo si trasformò nuovamente.
Adesso era un uccello, un grosso piccione grigio, per la precisione.
Guardò fuori: il cielo era plumbeo e scrosciava una pioggia tanto
fitta che non gli permetteva di distinguere alcun particolare, ma non
poté indugiare oltre. Sotto di lui si stava gonfiando un mare nero
che riempiva velocemente il tubo di pietra con orrendi gorgoglii.
Distese le ali e spiccò il volo verso un ignoto grigiore di piombo,
allontanandosi velocemente dalla sua prigione. Volò e volò in quel
paesaggio unicamente composto di pioggia per un tempo che non avrebbe
potuto misurare, quando, a un tratto, le ali gli si staccarono dal
corpo e, ripresa la forma umana, precipitò roteando verso un suolo
invisibile.
Capì
d’essersi svegliato quando udì voci che borbottavano vicino a lui
e, più distanti, rumori a lui noti. Erano quelli di una strada
cittadina e poteva riconoscere il cigolare tipico del bus che passava
ogni mattina davanti alla casa in cui abitava. Un dolore terribile
gli circondava la testa e quando cercò di guardare per capire dove
si trovava fitte lancinanti gli attraversarono la fronte.
Tutt’intorno
il buio incombeva su ogni cosa, talmente assoluto che un pensiero lo
raggelò: poteva udire, ma i suoi occhi non vedevano più. Era cieco!
—
Via via, lasciateci passare — disse da qualche parte una voce in
tono autoritario.
Poi
il ragioniere colse un’altra frase nel brusio che lo circondava:
—
Sono arrivati quelli della Sicurezza.
Il
brusio si allontanò e la prima voce riprese a parlare:
—
Guarda, Gaetano, un altro imbecille che non ha letto le istruzioni.
—
Dio mio, com’è ridotto! — replicò una voce più giovane che
doveva essere quella di Gaetano. — Gli occhi gli sono schizzati
fuori dalle orbite. Ma è morto?
—
Certo che è morto, dopo un volo dall’ottavo piano come credi che
possa sentirsi?
Il
ragionier Biraghi fece per sollevarsi, per parlare e gridare:
“Accidenti a voi! Non lo vedete? Non sono morto!” Ma subito si
rese conto che non gli era possibile alcun movimento. La sua lingua
era dura e rigida come cuoio e, al contrario, il resto del corpo uno
straccio floscio su cui non poteva esercitare alcun controllo.
—
Ma perché l’ha fatto? — domandò la voce di Gaetano.
—
Il solito — rispose l’altro. — Ha lasciato la finestra aperta.
Questo furbo se n’è fregato delle istruzioni.
Il
ragioniere dentro di sé gridava:
“Aiuto!
Sono vivo, aiutatemi! Perché state a parlare? Accidenti a voi! Sono
vivo!”
Gaetano
mostrò sorpresa:
—
Ma lo sanno tutti che con le Macchine di Berg bisogna chiudere bene
porte e finestre. I casi di sonnambulismo sono frequentissimi,
soprattutto i primi tempi in cui uno le usa.
—
Beh, questo qui non l’ha fatto. Molti si lanciano dalla finestra
credendo di poter volare...
—
Certo che s’è conciato per bene. Guarda! Ci sono pezzi di cervello
che gli escono dalla bocca! Dio mio, sto per vomitare!
—
Fatti forza, Gaetano, tu sei nuovo di questo mestiere. Quando avrai i
miei anni di servizio ne avrai viste di cose che un cervello
sull’asfalto non ti farà più impressione di una polpetta nel
piatto!
—
Aghhh!
Il
ragionier Biraghi sentì che qualcuno gli vomitava addosso, poi
s’accorse che gli stavano staccando dal collo la medaglietta
identificativa. Ancora una volta cercò di muoversi: inutile. Erano
rimaste vive solo le percezioni, ma per il resto il corpo non gli
apparteneva più.
—
Uhm, bene — disse la voce dell’uomo più anziano — ho
controllato presso il computer centrale. Questo tizio non ha parenti.
Meglio, così non dobbiamo avvisare nessuno. Ha il cuore che non
batte e non respira più, il cervello poi è distrutto... Te lo dico
io: è stramorto, non stiamo neanche a chiamare l’ospedale.
Carichiamolo sull’autolettiga e portiamolo direttamente ai forni
d’incenerimento.
Queste
ultime parole esplosero nella mente di Biraghi come una bomba.
“Bruciato vivo! Dio mio, fammi morire ora, subito! Ti supplico!”.
Ma
Dio non fu compassionevole con il ragionier Biraghi perché gli fece
conoscere ogni cosa. Era ben lucido e consapevole quando lo legarono
con le cinghie a una brandina e quando lo sollevarono per metterlo
nell’autolettiga, percepì ogni scossone dell’auto lungo la
strada, ascoltò Gaetano e l’altro conversare tranquillamente delle
ferie, della partita di domenica e delle donne.
Viveva
intensamente e con terrore ogni più piccolo evento e urlava,
urlava... Ma gli urli disperati di Biraghi non potevano superare la
soglia del pensiero e per quanto strepitasse, supplicasse e pregasse,
la sua voce restava imprigionata nella sua mente.
Ecco,
erano arrivati. Lo sollevarono, lo misero da qualche parte, qualcosa
lo spinse... Biraghi sentiva il cuore battere all’impazzata, ma non
avevano detto che il suo cuore non batteva più? Se il suo cuore era
un muscolo spento, un giocattolo rotto, come faceva a sentire sulla
pelle quel leggero tepore che lo stava avvolgendo?
“Aiuto!”
Il
calore divenne più intenso, più intenso, più intenso...
“Aiu...to!”
Il
dottor Versili, della Compart Olson Limited Co., stava conversando
con la segretaria. Era nella sua natura essere gentile con i
sottoposti e ogni mattina, prima di iniziare il lavoro impiegava
qualche minuto per informarsi della salute di questo o di quello, dei
loro bambini e dei loro problemi. Quando udì la porta d’ingresso
aprirsi alle sue spalle, si voltò in un gesto automatico. Rivolse lo
sguardo all’orologio olografico alla parete e poi sorrise all’uomo
che era entrato.
—
Oh, ragionier Biraghi, dopo un anno di ritardi questa mattina è
puntualissimo.
—
Certo, dottor Versili — confermò sorridendo a sua volta il
ragionier Biraghi. — Avevo proprio desiderio di cominciare il
lavoro. E lei come sta, dottore?
—
Oh, benissimo — rispose questi. — La vedo distesa, finalmente
sorride... Scommetto che ha seguito il mio consiglio.
—
Sì, mi sono deciso a usare la Macchina di Berg. Stanotte ho avuto un
incubo terribile, ma adesso sto veramente bene. Mi sento...
—
Sereno?
—
Sì, calmo e sereno. Non ho più nulla da desiderare, tutto va così
bene...
Il
ragionier Biraghi s’avviò fischiettando alla sua postazione. Amava
il suo lavoro. Ora era calmo e sereno, calmo e sereno proprio come
tutti gli altri. Totalmente, perennemente e... irrimediabilmente
appagato.
Un cordiale benvenuto a Renato Clementi che fa il suo esordio in Letteratura Fantastica con questo interessante, suggestivo racconto.
RispondiEliminaGià letto e apprezzato in altra occasione. Il racconto offre una bella ambientazione fantascientifica e si basa su un'idea originale, sviluppata con suspense e maestria narrativa. Bello il finale che aiuta il lettore a identificarsi con il protagonista della vicenda.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino