Il Signore Dio «scacciò
l’uomo e pose ad oriente
del giardino di Eden
i cherubini e la fiamma
della spada folgorante,
per custodire la via
all’albero della
vita» (Genesi 3,24).
I
I cherubini lavoravano
intorno alla spada incandescente: vi gettavano dentro legna e carbone perché
non si smorzasse il suo splendore; con le molle sistemavano i pezzi di legno
per far attecchire meglio il fuoco.
Si trattava comunque di un lavoro che, molto presto,
avrebbe perso ogni utilità: ormai da secoli il mondo era in pace e vi regnava
il bene, tanto che gli uomini avevan riconquistato il diritto all’Eden. Quindi,
non c’era più bisogno di sbarramenti o di ostacoli divini. Pure, quella spada
fiammeggiante non smetteva di ardere.
Sulla Terra tutti i mali erano scomparsi: niente
guerre, nessuna prepotenza, droga esaurita, estinte per sempre le grida di
dolore (ormai restavano soltanto quelle “commerciali” e insistenti dei
fruttaroli al mercato). Dunque, perché il sacro Dio non ordinava ancora di
rimuovere la spada e di spegnerla in eterno?
Questo si domandavano i cherubini indaffarati con la
legna, mentre una perplessità mista di noia e desolazione angustiava i loro
pensieri.
II
Miagolava il superno
gattino, coccolato a perdigiorno dalle buone mani del Salvatore.
Il sacro Dio non era mai stanco di vezzeggiare:
nemmeno i malori gli impedivano di gingillare il suo gattino. E quel giorno le
sue eran moine gravate dal mal di testa: perché il suo cervello aveva mandato
di traverso nocivi rimasugli di sonno insufficiente e sofferto.
Il sacro Dio continuava sì, anche quel giorno (un
umido lunedì celeste) a molcire il bel gattino (“Picci picci, pucci pucci”, gli
sussurrava) però si sentiva triste e frastornato.
Intanto guardava la Terra con gli occhi cisposi. E una
vertigine di nausea gli percorreva lo stomaco.
Da epoche lontane e persino indistinte nel passato,
gli uomini eran diventati saggi e virtuosi. Ma il sacro Dio non riusciva ad
essere felice.
Abbandonando i peccati e riavvicinandosi alla fede,
gli uomini si erano gagliardamente redenti e trasformati: generosi col
prossimo, eran rispettosi del padre e della madre. Inoltre non rubavano mai,
s’impegnavano febbrilmente a non dire falsa testimonianza, non erano affatto invidiosi
della roba altrui, non desideravano assolutamente la donna d’altri e facevano
del tempo un pretesto di vita e preghiera.
Il sacro Dio vedeva e sapeva tutto ciò. E pur
approvando fiero i progressi degli uomini, non gioiva, non celebrava; anzi un
pensiero lo tormentava acidamente. Un pensiero ossessivo e maniacale che,
millennio dopo millennio, aveva riempito
d’incubi le sue notti e la sua anima, scatenandogli nel cuore un crescendo
ininterrotto d’esasperazione. Già, il suo dolore aumentava, s’irrobustiva!
…E arrivò al culmine proprio quel lunedì.
“Uomo!”, sbottò infatti il sacro Dio, tenendo in
braccio il superno gattino. “Uomo!” – ripeté, con un tono di voce allucinato,
oscillante fra il magico e l’assorto – “Tu sei migliorato. Sei adesso la mia
creatura più grande: la mia opera perfetta. Uomo, tu sei pio nobile puro… solo
una cosa ti manca. Oh, perché… perché… ” – il sacro Dio cambiò espressione,
mutando la voce in un pianto furibondo – “Perché non miagoli? Perché??”.
Gridando di rabbia e delusione, il sacro Dio scagliò
contro la sua opera non il martello di Michelangelo, ma il secondo diluvio
universale.
Orrende piogge tropicali caddero ovunque: anche a San
Gemini in provincia di Terni.
III
I conti tornavano, ora:
due guerre mondiali, due diluvi universali.
Un cherubino se n’accorse, smise di buttare legna
nella spada fiammeggiante e contemplando gli uomini che affogavano sulla Terra,
disse: “Beh, quelli che sopravvivono li possiamo finire nella vasca da bagno,
no?”.
Un cordiale benvenuto a Pietro tra gli autori di Pegasus.
RispondiEliminaLieto di essere in così buona compagnia!
RispondiEliminaPietro