Un giorno il dio del
sole fece incontrare P, l'abitante di Elea, ed E., il cittadino di Efeso.
Il perché lo avesse fatto ristagnava solo nei
meandri della sua ironia infinita di dio.
Entrambi ne avevano
cantato la saggezza e la luce e forse meritavano una considerazione diversa da
quel sentiero polveroso in cui aveva deciso si dovessero incontrare.
I loro sandali alzavano appena brevi volute di
polvere, il loro sguardo era assorto: P. guardava la chiarità del cielo senza
nubi; E. porgeva mente ed orecchio allo sciamare del vento tra le foglie.
Si videro senza
riconoscersi. Non avrebbero neppure potuto. Era divertito il dio a quella che
si aspettava diventasse fra loro una diatriba feroce: per questo offrì loro un
linguaggio profano.
E si sedette su una
roccia, aspettando.
-
Chi sei?
- chiese P.
-
Chi sei?
- chiese E.
Si guardarono con fare
altero, ma erano entrambi vecchi e subito ad ognuno di loro sembrò ridicola
questa alterigia.
Quasi si sorrisero a
vicenda.
-
Vengo da Elea - disse P.- ed ho
avuto l'onore di redigerne le leggi...
-
Io sono di Efeso, e mai nessuna città ho disprezzato tanto - replicò E.
e, prima che P. potesse domandare, continuò: parlavo loro del tutto che divora incessante ogni cosa senza mutare
mai, e loro, ciechi e stolti, non mi hanno capito.
-
Anch'io ho parlato del tutto, quella realtà perfetta e immobile che resiste
sovrana ad ogni mutamento- interloquì P.
-
Tutto muta,
- obbiettò E., - come fuoco inesting...
-
Ma il tutto come tale no, - lo interruppe P. - e il fuoco è solo un'immagine
-
Sono d'accordo, - asserì E., - il
discorso vero è sul tutto.
-
È vero,
- annuì P, - sul tutto.
Senza forse accorgersene si erano seduti su un tratto del sentiero chiazzato da erba
malaticcia d'arsura e si stavano scrutando. Si studiavano con curiosità, senza
cattiveria, come due animali estranei che si incontrassero per la prima volta:
dovevano ancora decidere se tirare fuori gli artigli.
E. di colpo tossì con violenza, tenendosi forte
la pancia con una breve smorfia di dolore: lo sguardo di P. forse indicò una
domanda o una piccola apprensione: fa
male?
- Abbastanza, ma ormai non è così importante - rispose E.
-
Già,
- fece P. di rimando, - siamo vecchi, ed
alla nostra età ogni cosa diviene meno importante, salvo forse vivere per
intero il tempo breve che resta.
-
Già,
- continuò E, - e bisogna farlo servendo
la verità.
Fu a questo punto che il
dio fece sentire la sua voce: quale
verità? siete solo umani...
I due vecchi si
guardarono negli occhi, capirono all'improvviso di aver percorso lo stesso
cammino. Risposero da vecchi.
Risposero all'unisono: Quella che comprende anche te, la nostra
mente e le nostre preghiere, i nostri inganni e le nostre vittorie, l'ombra e
la luce. Quella che ci consente di andare oltre te, e vedere le mille facce del
tutto, e il cammino del nostro pensiero mai stanco.
Si alzarono con una
certa fatica, si guardarono intorno con lo sguardo di chi ha capito e si capisce.
Ripresero ad andare,
lentamente, come sogliono i vecchi.
Sapore mitologico in questo bel racconto dell'amico Peppe. Davvero interessante.
RispondiEliminaUn raccontino denso di poesia con riferimenti filosofici. Malinconica e commovente la velata riflessione sulla vita che fugge e concede all'anziano un ultimo scorcio che dovrebbe essere di saggezza. Mi è piaciuto.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino
Bello il racconto dell'amico Murra. Come sempre pieno di poesia dolce e riflessioni sagge. Un saluto cordiale...
RispondiEliminaBravo, mi è piaciuto molto.
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