giovedì 12 marzo 2015

IL CONGRESSO DI ASTROFISICA di Fabio Calabrese



Byron Haskins si accomodò sulla poltrona riservata nell'auditorium, gettando appena un'occhiata distratta alla sala che si andava riempiendo. Era lievemente a disagio perché sentiva la pelle rigida e impregnata di salso oltre che cotta dal sole, tirargli sulle spalle a ogni movimento. Il guaio era che si era trattenuto troppo sulla spiaggia, e si era precipitato per partecipare alla sessione pomeridiana del congresso senza prima farsi una doccia e mettersi una crema.
Per fortuna, gli venne da pensare, non c'era nessun rischio di prendersi un fastidioso eritema, non dopo un'estate trascorsa a crogiolarsi al sole della California. Quel congresso era in effetti un supplemento di vacanze estive, si svolgeva annualmente alle Hawaii, approfittando della presenza in loco dell'osservatorio del Mauna Loa, uno dei più importanti a livello planetario, e saggiamente si era scelto ottobre come data di svolgimento, quando alle latitudini boreali comincia la cattiva stagione, mentre le Hawaii godono di un clima estivo tutto l'anno, così i congressisti passavano la maggior parte del tempo in spiaggia o a fare surf o windsurf sulla cresta delle imponenti onde che si infrangevano sulla costa, tanto in ogni caso potevano mettere l'albergo e i relativi servizi sul conto delle rispettive università.
Gettò un'occhiata al pieghevole con il programma delle conferenze. A dire il vero, non c'era nulla che lo interessasse ma, dato il suo ruolo istituzionale, non poteva mancare, la sua assenza si sarebbe notata.
Quasi con cautela, sfilò da sotto la giacca la sua copia di “Scientific American” e si mise a scorrere il sommario.
Guardò se ci fossero articoli di astronomia, astrofisica o cosmologia. Eventualmente gliene sarebbe stato bene anche uno di astrologia, pur di sottrarsi alla noia.
Si, in effetti ce n'era uno, parlava di quel satellite sonda che recentemente aveva attuato uno splash down su una cometa e raccolto campioni da analizzare. In realtà, si rese conto dopo avergli dato una rapida scorsa, era piuttosto un articolo di astronautica che di astronomia, semmai l'aspetto interessante era rappresentato dalla metodologia impiegata per far attraccare il satellite telecomandato all'elusivo corpo celeste, non la cometa in sé, che era come tutte le altre, una grossa palla di neve sporca a zonzo per il sistema solare.
Diede un'occhiata agli altri articoli: uno conteneva uno studio particolareggiato sul sistema riproduttivo degli echinodermi, e lo spinse a chiedersi come potesse non uno scienziato, ma un uomo sano di mente, interessarsi a un argomento del genere.
Un altro era poi la relazione su di uno scavo archeologico in un sito neolitico da qualche parte nella regione dell'Altaj. Forse che non lo si sapeva da un pezzo che gli uomini preistorici, sprovvisti di televisione, computer e playstation, passavano il tempo incidendo pietre e scheggiando ossa?
Saltò rapidamente alla pagina dei giochi matematici, che erano invariabilmente o troppo banali o troppo esoterici. Con un sospiro chiuse la rivista occultandola nella cartelletta portadocumenti.
Intanto, i relatori avevano iniziato a parlare. Nella successiva ora e mezza (grazie al Cielo, il toastmaster aveva insistito con ciascuno di loro che si tenessero entro i 45 minuti prescritti, Byron Haskins fece finta di sorbirsi, o meglio prestò un'attenzione sempre più distratta a due relazioni, una sul ciclo delle macchie solari, l'altra sugli ultimi risultati della ricerca di pianeti extrasolari.
Quest'ultimo argomento, che sembrava appassionare molto alcuni suoi colleghi, provocava a Byron un senso di distaccata ironia. In realtà non esiste nessun mezzo che consenta di vedere un pianeta posto ad anni luce di distanza da noi. Quello che quegli intraprendenti ragazzi misuravano, erano delle impercettibili variazioni nella luminosità di alcune stelle, che si supponevano causate da un pianeta nel momento in cui passa davanti al proprio sole e ne intercetta e occulta una microscopica frazione di luce.
Byron Haskins non poteva fare a meno di chiedersi quante di queste “scoperte” trionfalmente annunciate fossero veramente qualcosa di reale, o magari non dipendessero da qualche imperfezione del telescopio, o da un errore di rilevamento o di calcolo. Forse, se fosse stato possibile andare sul posto a vedere di persona come stavano le cose, in due casi su tre, o non si sarebbe trovato nessun pianeta, o si sarebbe vista una situazione planetaria del tutto diversa da quella immaginata da questi ricercatori.
Da quando nel 2013 era stato individuato il bosone di Higgs confermando il modello cosmologico standard, pareva che non ci fossero più novità di rilievo nella cosmologia, nella fisica, nella scienza in genere, era rimasto solo un gran lavoro di rifinitura di dettagli.
Come la scienza teorica, anche la tecnologia sembrava arrivata a un punto morto. La gente si aspettava sempre che dai laboratori degli scienziati o da quelli dei tecnici uscissero prima o poi il vaccino contro il cancro un'energia non inquinante a basso costo e disponibile in quantità illimitate, ma il cancro è si favorito in vario grado da una serie di  fattori ambientali, ma non dipende da un agente preciso, un'aggressione esterna come quella portata da un bacillo, contro la quale ci si possa vaccinare, e l'idea dell'energia illimitata a basso costo, ricordava a Byron quella della moneta magica che ritorna nel portafoglio dopo essere stata spesa.
Lui e i suoi colleghi erano, consapevolmente o meno, gli stregoni dell'età moderna, gli ecclesiastici della religione chiamata “progresso”, e allora tanto valeva approfittarne.
Dettagli, dettagli, dettagli. La terza relazione, ultima per quella sera, era  sulle rilevazioni del nuovo radiotelescopio orbitale di nuova generazione, a loro volta confrontate con i dati raccolti a suo tempo dal vecchio Hubble.
Il relatore era un giovanotto occhialuto dall'aria un po' impacciata, doveva essere uno di quelli ligi che prendevano la ricerca sul serio.
“Stando agli ultimi dati di cui disponiamo”, stava dicendo, “Possiamo stimare il raggio dell'universo in dodici miliardi di anni luce, considerevolmente meno dei quindici miliardi di anni luce stimati in precedenza. Inoltre il colore medio dell'universo sembrerebbe essere un marroncino chiaro e non, come si era pensato in precedenza, un brillante blu notte”.
“Finalmente qualcosa di interessante”, pensò Byron Haskins, “Viviamo in un universo più piccolo e scolorito di quel che eravamo abituati a pensare”.
Il suo cervello si mise in moto e gli parve di intravedere una spiegazione, ma era una cosa vaga, un barlume, quasi poco più di una sensazione. Stava meditando se andare a iscriversi agli interventi che erano previsti al termine della relazione o forse era meglio aspettare, dato che l'idea che gli era venuta in mente era ancora troppo vaga e indefinita.
In quel momento una collega gli passò davanti. Byron la conosceva di vista, era una ragazza svedese, Ingeborg Thorwaldsen, una giovane bionda dai capelli color grano, gli occhi azzurri, le guance rosse e un magnifico paio di gambe. Byron si era sempre chiesto come mai ci fossero tanti scandinavi nella tribù degli astronomi, ma la cosa non gli dispiaceva affatto, soprattutto per quanto riguardava le giovani ricercatrici scandinave.
I suoi pensieri presero tutta un'altra direzione, cominciò a pensare come abbordare Inge e chiederle quali programmi avesse per dopo cena.

In una dimensione totalmente trascendente a tutto ciò che conosciamo, Qualcuno non era per nulla compiaciuto della propria opera. Questo Qualcuno era vagamente simile a un essere umano, poiché aveva creato gli esseri umani e gli altri esseri senzienti del Cosmo a Propria immagine e somiglianza. In un certo senso, si sarebbe potuto paragonare a un vecchio canuto di incommensurabile antichità.
Poiché era onnisciente, gli capitava molto raramente di sbagliare ma, proprio per questo, quando capitava, ciò era fonte per Lui di vivissima irritazione.
Teneva fra le mani qualcosa che, rapportato alla nostra scala, sarebbe sembrato una sorta di panno, ma se lo si fosse osservato attentamente, si sarebbe notato che la sua trama era formata da ammassi stellari, galassie, nebulose, stelle isolate.
“Si è ristretto e scolorito”, pensò, “Devo averlo lavato in modo sbagliato”.
 

4 commenti:

  1. Come sempre, piacevole e avvincente narrativa quella di Fabio.

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  2. felice l'ironia sul Qualcuno, piacevolissima la descrizione della noia del sig.Haskins
    peppemù

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  3. Simpatico e divertente racconto.

    Danilo Concas

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  4. Divertenti i pensieri ponderati di Byron e quelli di Qualcuno che si rammarica di lavare male i suoi "panni" cosmici...

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