Byron Haskins si accomodò sulla poltrona riservata
nell'auditorium, gettando appena un'occhiata distratta alla sala che si andava
riempiendo. Era lievemente a disagio perché sentiva la pelle rigida e impregnata
di salso oltre che cotta dal sole, tirargli sulle spalle a ogni movimento. Il
guaio era che si era trattenuto troppo sulla spiaggia, e si era precipitato per
partecipare alla sessione pomeridiana del congresso senza prima farsi una
doccia e mettersi una crema.
Per fortuna, gli venne da pensare, non c'era nessun
rischio di prendersi un fastidioso eritema, non dopo un'estate trascorsa a
crogiolarsi al sole della California. Quel congresso era in effetti un
supplemento di vacanze estive, si svolgeva annualmente alle Hawaii,
approfittando della presenza in loco dell'osservatorio del Mauna Loa, uno dei
più importanti a livello planetario, e saggiamente si era scelto ottobre come
data di svolgimento, quando alle latitudini boreali comincia la cattiva
stagione, mentre le Hawaii godono di un clima estivo tutto l'anno, così i
congressisti passavano la maggior parte del tempo in spiaggia o a fare surf o
windsurf sulla cresta delle imponenti onde che si infrangevano sulla costa,
tanto in ogni caso potevano mettere l'albergo e i relativi servizi sul conto
delle rispettive università.
Gettò un'occhiata al pieghevole con il programma delle
conferenze. A dire il vero, non c'era nulla che lo interessasse ma, dato il suo
ruolo istituzionale, non poteva mancare, la sua assenza si sarebbe notata.
Quasi con cautela, sfilò da sotto la giacca la sua
copia di “Scientific American” e si mise a scorrere il sommario.
Guardò se ci fossero articoli di astronomia,
astrofisica o cosmologia. Eventualmente gliene sarebbe stato bene anche uno di
astrologia, pur di sottrarsi alla noia.
Si, in effetti ce n'era uno, parlava di quel satellite
sonda che recentemente aveva attuato uno splash down su una cometa e
raccolto campioni da analizzare. In realtà, si rese conto dopo avergli dato una
rapida scorsa, era piuttosto un articolo di astronautica che di astronomia,
semmai l'aspetto interessante era rappresentato dalla metodologia impiegata per
far attraccare il satellite telecomandato all'elusivo corpo celeste, non la
cometa in sé, che era come tutte le altre, una grossa palla di neve sporca a
zonzo per il sistema solare.
Diede un'occhiata agli altri articoli: uno conteneva
uno studio particolareggiato sul sistema riproduttivo degli echinodermi, e lo
spinse a chiedersi come potesse non uno scienziato, ma un uomo sano di mente,
interessarsi a un argomento del genere.
Un altro era poi la relazione su di uno scavo
archeologico in un sito neolitico da qualche parte nella regione dell'Altaj.
Forse che non lo si sapeva da un pezzo che gli uomini preistorici, sprovvisti
di televisione, computer e playstation, passavano il tempo incidendo pietre e
scheggiando ossa?
Saltò rapidamente alla pagina dei giochi matematici,
che erano invariabilmente o troppo banali o troppo esoterici. Con un sospiro
chiuse la rivista occultandola nella cartelletta portadocumenti.
Intanto, i relatori avevano iniziato a parlare. Nella
successiva ora e mezza (grazie al Cielo, il toastmaster aveva insistito con
ciascuno di loro che si tenessero entro i 45 minuti prescritti, Byron Haskins
fece finta di sorbirsi, o meglio prestò un'attenzione sempre più distratta a
due relazioni, una sul ciclo delle macchie solari, l'altra sugli ultimi
risultati della ricerca di pianeti extrasolari.
Quest'ultimo argomento, che sembrava appassionare
molto alcuni suoi colleghi, provocava a Byron un senso di distaccata ironia. In
realtà non esiste nessun mezzo che consenta di vedere un pianeta posto ad anni
luce di distanza da noi. Quello che quegli intraprendenti ragazzi misuravano,
erano delle impercettibili variazioni nella luminosità di alcune stelle, che si
supponevano causate da un pianeta nel momento in cui passa davanti al proprio
sole e ne intercetta e occulta una microscopica frazione di luce.
Byron Haskins non poteva fare a meno di chiedersi
quante di queste “scoperte” trionfalmente annunciate fossero veramente qualcosa
di reale, o magari non dipendessero da qualche imperfezione del telescopio, o
da un errore di rilevamento o di calcolo. Forse, se fosse stato possibile
andare sul posto a vedere di persona come stavano le cose, in due casi su tre,
o non si sarebbe trovato nessun pianeta, o si sarebbe vista una situazione
planetaria del tutto diversa da quella immaginata da questi ricercatori.
Da quando nel 2013 era stato individuato il bosone di
Higgs confermando il modello cosmologico standard, pareva che non ci fossero
più novità di rilievo nella cosmologia, nella fisica, nella scienza in genere,
era rimasto solo un gran lavoro di rifinitura di dettagli.
Come la scienza teorica, anche la tecnologia sembrava
arrivata a un punto morto. La gente si aspettava sempre che dai laboratori
degli scienziati o da quelli dei tecnici uscissero prima o poi il vaccino
contro il cancro un'energia non inquinante a basso costo e disponibile in
quantità illimitate, ma il cancro è si favorito in vario grado da una serie
di fattori ambientali, ma non dipende da
un agente preciso, un'aggressione esterna come quella portata da un bacillo,
contro la quale ci si possa vaccinare, e l'idea dell'energia illimitata a basso
costo, ricordava a Byron quella della moneta magica che ritorna nel portafoglio
dopo essere stata spesa.
Lui e i suoi colleghi erano, consapevolmente o meno,
gli stregoni dell'età moderna, gli ecclesiastici della religione chiamata
“progresso”, e allora tanto valeva approfittarne.
Dettagli, dettagli, dettagli. La terza relazione,
ultima per quella sera, era sulle
rilevazioni del nuovo radiotelescopio orbitale di nuova generazione, a loro
volta confrontate con i dati raccolti a suo tempo dal vecchio Hubble.
Il relatore era un giovanotto occhialuto dall'aria un
po' impacciata, doveva essere uno di quelli ligi che prendevano la ricerca sul
serio.
“Stando agli ultimi dati di cui disponiamo”, stava
dicendo, “Possiamo stimare il raggio dell'universo in dodici miliardi di anni
luce, considerevolmente meno dei quindici miliardi di anni luce stimati in
precedenza. Inoltre il colore medio dell'universo sembrerebbe essere un
marroncino chiaro e non, come si era pensato in precedenza, un brillante blu
notte”.
“Finalmente qualcosa di interessante”, pensò Byron
Haskins, “Viviamo in un universo più piccolo e scolorito di quel che eravamo
abituati a pensare”.
Il suo cervello si mise in moto e gli parve di
intravedere una spiegazione, ma era una cosa vaga, un barlume, quasi poco più
di una sensazione. Stava meditando se andare a iscriversi agli interventi che
erano previsti al termine della relazione o forse era meglio aspettare, dato
che l'idea che gli era venuta in mente era ancora troppo vaga e indefinita.
In quel momento una collega gli passò davanti. Byron
la conosceva di vista, era una ragazza svedese, Ingeborg Thorwaldsen, una
giovane bionda dai capelli color grano, gli occhi azzurri, le guance rosse e un
magnifico paio di gambe. Byron si era sempre chiesto come mai ci fossero tanti
scandinavi nella tribù degli astronomi, ma la cosa non gli dispiaceva affatto,
soprattutto per quanto riguardava le giovani ricercatrici scandinave.
I suoi pensieri presero tutta un'altra direzione,
cominciò a pensare come abbordare Inge e chiederle quali programmi avesse per
dopo cena.
In una dimensione totalmente trascendente a tutto ciò
che conosciamo, Qualcuno non era per nulla compiaciuto della propria opera.
Questo Qualcuno era vagamente simile a un essere umano, poiché aveva creato gli
esseri umani e gli altri esseri senzienti del Cosmo a Propria immagine e
somiglianza. In un certo senso, si sarebbe potuto paragonare a un vecchio
canuto di incommensurabile antichità.
Poiché era onnisciente, gli capitava molto raramente
di sbagliare ma, proprio per questo, quando capitava, ciò era fonte per Lui di
vivissima irritazione.
Teneva fra le mani qualcosa che, rapportato alla
nostra scala, sarebbe sembrato una sorta di panno, ma se lo si fosse osservato
attentamente, si sarebbe notato che la sua trama era formata da ammassi
stellari, galassie, nebulose, stelle isolate.
“Si è ristretto e scolorito”, pensò, “Devo averlo
lavato in modo sbagliato”.
Come sempre, piacevole e avvincente narrativa quella di Fabio.
RispondiEliminafelice l'ironia sul Qualcuno, piacevolissima la descrizione della noia del sig.Haskins
RispondiEliminapeppemù
Simpatico e divertente racconto.
RispondiEliminaDanilo Concas
Divertenti i pensieri ponderati di Byron e quelli di Qualcuno che si rammarica di lavare male i suoi "panni" cosmici...
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