
(Con grande piacere
pubblichiamo un altro racconto di Pierre Jean Brouillaud, uno dei più
importanti scrittori francesi di genere fantastico; con altrettanto piacere
salutiamo il debutto, nell’ambito delle traduzioni letterarie, di Sauro Nieddu,
valido scrittore e assiduo collaboratore di Pegasus Sf)
La ragazzina dagli
occhi blu gli sorrise. Montava un cavallo bianco dalle briglie dorate. Léo ebbe
appena il tempo di renderle il sorriso; la giostra portò via la bambina e,
negli specchi che ornavano il suo asse, l’immagine dell’uomo. Dieci franchi,
diceva il cartello, il terzo giro è gratuito.
Léo percorreva la
banchina dove i passanti si attardavano tra le vasche di gerani. Una leggera
bruma velava l’orizzonte ma lasciava apparire le linee nere dei tre isolotti.
La giostra sgranava la sua musica sottile. Sotto i pini, il chiosco Napoleone
III della compagnia di navigazione, aveva aperto gli sportelli. Contro
l’imbarcadero, il battello-passeggiata, bianco e rosso, aveva fischiato tre
volte.
- Visitate la laguna
e le sue isole. Offritevi una vera crociera con i suoi scali-sorpresa. Oltre
quattro ore di scoperte. Per solo cinquanta franchi. Venti franchi per i minori
di 15 anni e per le carte Vermeil. Prossima partenza : ore 14:30.
Una coppia aveva
appena preso i biglietti. Léo fece lo stesso.
L’imbonitore
piantato sulla banchina gesticolava mentre i primi clienti impegnavano la
passerella scricchiolante.
Contro l’impavesata,
una bionda slavata dallo sguardo sfocato salutava con un buongiorno monocorde,
augurava una buona traversata e strappava l’angolo ai biglietti .
- Quattro ore, disse
una signora bruna accompagnata dalla figlia, questo ci porta alle 18:30. Spero
che torneremo in tempo per la cena.
- Nessun problema,
signora, rispose la bionda sullo stesso tono indifferente.
I passeggieri, nel
numero di una ventina, si dispersero tra il salone, i corridoi e il ponte
superiore. Léo si diresse verso la prua e si sistemò sopra la postazione di
pilotaggio.
Ore quattordici e
trentadue. La sirena lanciò di nuovo tre colpi di fischietto. La bionda levò
gli ormeggi e il battello iniziò la manovra per lasciare l’attracco, superare
il molo ed entrare nelle acque della laguna.
I motori, piuttosto
in affanno, ansimavano. L’altoparlante cominciò a crepitare :
- Benvenuti a bordo
del Griffon. La laguna si apre davanti a voi. La sua superficie è di 5000
ettari e la sua profondità media di 80 metri. Risalente all’ultima glaciazione,
è chiusa dai cordoni litorali formati dai depositi alluvionali dei tre fiumi.
Essa tende a colmarsi e, presto o tardi, sparirà. Ma, come potete giudicare,
oggi è ben viva. Andiamo a scoprirne l’incantesimo e il mistero.
Léo prese la corsia
di tribordo.
Un gruppo di
gabbiani volteggiava a poppa, dove avevano preso posto, tra gli altri, la donna
bruna e la sua monella come anche un personaggio tracagnotto, vestito con una
tuta gialla, che portava al collo una macchina fotografica e un enorme
binocolo. I passeggeri lanciavano frammenti di biscotti da sopra l’impavesata.
Ma gli uccelli, senza dubbio sazi, virarono di bordo e si allontanarono a gran
colpi d’ala.
Il Griffon aveva
guadagnato il largo. Gli echi della giostra provenienti dalla banchina si
percepivano ancora, flebilmente, ma furono presto coperti dagli accenti di
un’orchestra.
La donna bruna, gli
occhi socchiusi, lasciava che il vento giocasse con i suoi capelli. L’uomo in
giallo fece scorrere il binocolo sulla superfice d’acqua, poi li puntò sulla
linea che cresceva all’orizzonte.
- Non si vede
granché, borbottò. Sembra deserto.
- Ci avviciniamo al
nostro primo scalo, fece l’altoparlante. Scoprirete presto la vostra prima
sorpresa.
Non era infatti che
un isolotto. Non doveva avere più di 500 metri di larghezza, almeno da
quest’angolazione. Da lì venivano gli accordi di un concerto romantico in cui
dominava il piano. Di Chopin, forse. Un Notturno, disse un vecchio signore dal
cranio lucente che sembrava conoscerlo.
Effettivamente, la
riva era deserta.
Ore quindici. Il
Griffon accosta a un approdo di legno annerito. Una barca tarlata beccheggiava
tirando sulla sua catena.
- Benvenuti
sull’isola incantata, tubò l’altoparlante di bordo. State per visitarla in
tutta libertà. Per questo disponete di un’ora. È sufficiente. Non c’è il
rischio che vi perdiate. Un cammino circolare, detto Sentiero dei doganieri,
conduce al solo imbarcadero, quello in cui ci troviamo. E, da ogni punto
dell’isola, sentirete il nostro appello. Alle 16 precise. Regolate i vostri
orologi: sono le 15:04. Se prendete il viale che si apre di fronte a voi, in
cinque minuti raggiungerete il maniero conosciuto sotto il nome di Château des
Corneilles. Di per sé, vale la visita. Quando vi presenterete al cancello,
direte: “Veniamo dal Griffon.” E vi sarà aperto. Vi auguriamo una buona passeggiata.
- Non c’è alcuna
guida ? Fece la signora bruna con la fronte che si corrugava.
- È più divertente
così, disse l’uomo col binocolo.
In un primo momento
un po’ disorientati, i venti passeggeri, lasciando il cammino dei doganieri,
presero il viale che portava verso l’interno, tra boschetti invasi dai rosai
che nella fioritura avanzata iniziavano a perdere i loro petali. Qualche albero
rado e rachitico stagliava contro il cielo la sua sagoma piegata ad angolo
retto dal vento.
La musica era morta.
La strada saliva per
raggiungere un terrapieno da cui si scorgeva il maniero, piccola costruzione in
falso gotico.
Il viale ora si
ornava d’una doppia fila di statue di fattura abbastanza maldestra che dovevano
rappresentare le stagioni. I visitatori identificarono abbastanza facilmente le
giovani donne dalle forme opulente cariche di fiori e di frutti, i vegliardi
nodosi che legavano fascine di rami secchi.
All’ingresso del
cortile, due donne di pietre, drappeggiate, velate, senza età, un dito posato
sulle labbra, celavano un sorriso.
La pesante porta a
cassettoni era chiusa. Il fotografo annunciò :
- Buongiorno.
Veniamo dal Griffon.
La porta si aprì
senza rumore.
Una voce sfrigolò:
- Benvenuti. Per non
turbare l’armonia di questi luoghi, vogliate infilare le pattine messe a vostra
disposizione nell’ingresso.
Un corridoio
stretto, dal soffitto basso, vagamente policromo, portava a un’anticamera
pannellata. Una panca di legno scuro correva tutt’attorno alla stanza.
La ragazzina piangeva. Perdette le pattine. Sua madre
gliele dovette rinfilare due volte.
Tre o quattro persone stavano per approfittare delle
sedie per riposare quando echeggiò qualche nota curiosamente metallica.
Il gruppo varcò la
porta a due battenti, entrò sotto la volta di una sala da musica col parquet
intarsiato a borchie d’ebano, un arredamento molto kitsch. Sotto i pesanti
tendaggi di velluto granato, tra gli sgabelli intagliati, le poltroncine, i
piedistalli degli abat-jour di perline multicolori, un piano meccanico scandiva
alcune misure di una mazurka.
- Affascinante, fece
una vecchia dama abbozzando dei passi di danza, vacillò. Ebbe un capogiro.
- Mi scusi !
Si aggrappò al
braccio del fotografo.
La bambina aveva
smesso di piangere, ebbe perfino un sorriso fugace.
Ben presto, il piano
rallentò, si arrestò, la molla rilasciata.
Il melomane si
accostò all’apparecchio, ricaricò la manovella. Sotto gli applausi del gruppo,
la musica ripartì, prima d’imballarsi e slittare, provocando qualche breve
risata.
I visitatori
andavano e venivano, esitanti. Due o tre di loro si posarono sulle poltrone, le
natiche sul bordo del cuscino.
Sopra una mensola
era appeso uno specchio molato, punteggiato dall’umidità. La signora bruna ha
voluto, di passaggio, guardarsi dentro. Emise un grido, poi scoppiò in una risata
convulsa. L’uomo giallo si piantò a sua volta davanti allo specchio, scosse il
capo, fece una smorfia, avanzò, retrocesse, prese una foto, soffiò sul vetro
che si appannò, prese un secondo scatto. Poi, con la mano, fece per cancellare
l’alone. Ma non ne ebbe il tempo. Era evaporato. Proseguì allora l’esame del
luogo.
Léo si avvicinò. Lo
specchio non restituiva le loro immagini. Rifletteva solo l’ambiente.
I visitatori
sfilarono uno dopo l’altro. Alcuni si divertivano al fenomeno. Altri si
allontanavano, a disagio. La ragazzina chiese alla madre di sollevarla per
permetterle di guardare nello specchio.
- No! No! Non c’è
niente da vedere, disse la madre.
- Voglio soffiare,
disse la bambina.
L’uomo giallo si
offrì di aiutare la bambina.
- No! Ve ne prego!
Fece la donna.
La ragazzina si
rimise a piangere.
La sirena del
Griffon risuonò. Léo guardò il suo orologio : 16:00.
- Già ! Sospirò la
vecchia signora.
La
maggior parte dei visitatori, dopo aver tolto le pattine, si era già avviata,
in silenzio, sulla strada del ritorno. Alcune ventate di musica romantica,
fuggite dal maniero, li accompagnarono per un istante.
Speriamo che questo
intermezzo vi sia piaciuto, disse l’altoparlante. Ma non aveva altro scopo che
mettervi appetito. Il meglio deve ancora venire. Vi ricordiamo che un bar è a
vostra disposizione nell’interponte. Vi offre un’ampia scelta di consumazioni
oltre alla ristorazione calda e fredda.
Una decina di
visitatori approfittò dell’occasione.
Léo comprò una birra
e risalì subito sul ponte.
Stavolta, c’erano
dei ritornelli che il vento portava dallo scalo successivo.
- Mi piace così
tanto, disse la signora bruna che sembrava turbata e si aggrappava alla
ringhiera. Sua figlia si stringeva a lei.
- Che cos’è ? Chiese
la bambina.
- Un luna park.
- Ci saranno le giostre ?
- Forse. Se non
piangi.
- Qui, almeno, è
abitato, disse l’uomo regolando gli oculari. Si direbbero delle costruzioni.
- Cosa vedete ?
Chiese Léo finendo la sua birra.
- Un villaggio di
pescatori. Piuttosto piacevole. Case strette a picco sul porto. Reti che
asciugano.
Sul pontile, ad
aspettarli. Una fanfara. Ottoni e grancassa. I musicisti vestiti di nero
portavano delle bizzarre bombette.
La musica esplose.
- L’Entrata dei
gladiatori, disse il melomane. L’apertura abituale degli spettacoli da circo.
Allineati ai due
lati della strada, i musicisti salutarono così i loro visitatori.
Dietro di loro si
accalcavano gruppi di sfaccendati vestiti alla moda del 1900, le donne in
corpetti di pizzo con maniche a sbuffo, sottane a grembiule, scialletti e
scialli ricamati, gli uomini in bluse, giacche e berretti.
Poi la fanfara si
ricompose in ranghi da quattro e risalì la via che si arrampicava verso il
centro. Che altro fare ? I visitatori seguirono. I bambini del villaggio gli
andarono dietro.
Man mano che i
musicisti salivano la rampa, la musica cambiava carattere, i ritornelli si
deformavano, si stiravano fino a somigliare a inni religiosi.
L’entrata di una
piazza triangolare era sbarrata da uno striscione annunciante IL GIORNO DEL
GIUDIZIO FINALE.
Nel mezzo della
folla, un oratore, appollaiato su una cassa, urlava in un megafono :
- Pentitevi !
La musica
trascinante, piagnucolosa era sovrastata di colpo dal rombo della grancassa,
straziata da stridenti richiami di tromba.
Negli intervalli, il
predicatore ripeteva :
- Pentitevi ! Presto, sarà troppo tardi. Pentitevi !
Oppure… Léo
credette, nel baccano, di aver sentito :
- Rallegratevi !
La folla riprendeva
in coro :
- Presto, sarà
troppo tardi.
In mezzo ai
visitatori sconcertati, la vecchia signora si mise ad applaudire. Senza dubbio
aveva preso lo spettacolo per un’attrazione offerta dagli organizzatori della
crociera.
Il fotografo
mitragliava.
Esasperato
dall’abbaiare del predicatore e da tutta quella mascherata, Léo svoltò in una
stradina laterale che appariva deserta fino al momento in cui incrociò un
personaggio coperto dai piedi alla testa di pellicce di sfumature diverse,
bianche, nere, ruggine e brune. Il volto s’intravvedeva appena, a sufficienza
per distinguere uno sfregio che gli segnava la guancia sinistra. Lanciava
sempre lo stesso appello su poche note :
Pelli Pelli
Pelli
Pelli
di coniglio
Chi
vuole delle pelli pelli pelli
Pelli
di coniglio
Notando Léo, si
fermò, e gli si avventò :
- Una pelle di
coniglio, signore ? Niente di meglio contro i reumatismi, i raffreddori, le
congestioni polmonari che si portano via l’uomo più robusto ancor prima che
abbia avuto il tempo di confessare i suoi peccati. Comprare una pelliccia, è
prendere un’assicurazione sulla vita. Il suo alito che si mischiava all’odore
delle pelli puzzava di gin.
E suonò una specie
di campanello. Poi si guardò attorno, come se si aspettasse di veder apparire
dei curiosi, dei testimoni, o dei complici.
- No, grazie ! Fece
Léo con un gesto impaziente della mano per scostare il buonuomo.
- Viene un giorno in
cui ci si pente… brontolò il mercante… le occasioni perse.
E finì di
attraversare la strada.
Pelli
di coniglio
Pelli Pelli
Pelli
Il personaggio era
appena scomparso oltre l’angolo di una casa. Da un portico sorse un uomo che
portava un berrettino con visiera e un foulard sangue di bue annodato intorno
al collo. Con un balzo, fu davanti a Léo che s’irrigidì.
L’uomo si toccò il berretto :
- Scusate, borghese. Non siamo dello stesso mondo...
Dal fondo della strada si poteva ancora sentire :
Pelli Pelli
Pelli
- Ebbene,
borghese, proseguì il tipaccio, giacché si deve crepare...
Levò un coltello.
Léo era paralizzato dalla sorpresa. L’uomo sogghignò :
- Fintanto che qualcuno ne trae vantaggio. Io, per
esempio.
E, mirando al petto di Léo, piantò il suo coltello… nel
vuoto.
Il tipaccio ebbe un sussulto. I suoi occhi si
spalancarono. Alzò i tacchi e fuggì.
Léo non ha capito che gli è capitato. Porta la mano al
petto. Sente il suo cuore che batte. Perché non ha fatto niente per difendersi,
parare il colpo ?
Inebetito riprende il suo cammino. Gli tremano le gambe.
Una sirena fischia. Ah sì ! Che ora ? 17:45.
Sembra che, di
colpo, il baccano sia cessato nella piazza.
Léo raggiunge il
gruppo che si sforza di battere in ritirata. Preparandosi a discendere la
strada declinante per riguadagnare il porto. È tallonato dai musicisti che ora
suonano arie ricche di contrasti, con glissando minacciosi.
Schiacciati gli uni
sugli altri, i visitatori si spintonano, alcuni incespicano.
Quando i musicisti
serrano il gruppo troppo da vicino, il fotografo si volta, li fronteggia e fa
scattare il flash, questo sembra costringere gli inseguitori a tenere una certa
distanza.
Li tiene così
rispettosi fino all’imbarcadero. E, intanto che i passeggeri salgono a bordo,
la fanfara, allineata sotto le reti che puzzano di marea, li gratifica di nuovo
con ritornelli da luna park.
Tra i venti
passeggeri, apparentemente, non manca nessuno.
La bionda molla gli
ormeggi.
Un viaggiatore
furioso minaccia di salire a lamentarsi fino alla postazione del pilota di cui
si distinguono le spalle massicce. La sua donna e altri passeggeri lo
dissuadono.
- Che volete ! È un viaggio-sorpresa.
- E noi siamo tutti
indenni.
Il fotografo cambia
pellicola.
È allora che scatta l’altoparlante :
- Signore, signori,
non serbateci rancore. Avete vissuto qualche istante d’emozione. Sono i casi
dei viaggi-sorpresa. Per farci perdonare, vi offriamo una consumazione
gratuita.
La maggior parte dei
viaggiatori si trovava ancora nell’interponte, quando l’altoparlante risuonò di
nuovo :
- Signore, signori,
siamo ora nel cuore della laguna. Il terzo scalo vi riserva la più bella
sorpresa della nostra appassionante crociera. Tra qualche istante, visiteremo
la grotta rossa. Uno stupefacente spettacolo offerto dalla natura. Sono i più
belli.
La signora bruna,
sempre nervosa, guardò il suo orologio :
- Sono già le 18:30.
La sera sta calando. Non si vedrà granché. Mi chiedo a che ora ci
riaccompagneranno.
- La cena sarà
servita nella grotta, disse l’uomo giallo, con aria beffarda. Sarà l’ultima
sorpresa.
Un isolotto in cui
affiora la roccia. Di qua, di là, rari ciuffi d’erba si sdraiano sotto il vento
dal largo.
Il Griffon raschia
un pontile dalle assi marce. Le signore che sbarcano saltellano maldestramente
per evitare i vuoti.
Stavolta, li attende
una guida. Un personaggio lungo dalla carnagione scura che tiene all’estremità
di un’asta metallica un triangolo di tessuto cremisi.
La signora bruna
pone di nuovo il quesito che la preoccupa :
- Sapete che ore
sono. Quando ci riaccompagnerete ?
- È tutto previsto,
signora. Non inquietatevi.
La guida ha uno
strano accento :
- Se volete
seguirmi, visiteremo una curiosità della natura che non vedrete da nessun’altra
parte, la grotta rossa. Questo colore, che sarebbe più giusto chiamare
rossastro, è dovuto a un fenomeno di riflessione della luce sulle pareti di
granito.
Mentre il cielo
impallidisce, il corteo, seguendo il triangolo di tessuto, scende i gradini che
portano al fondo di una fenditura, sprofonda nelle fondamenta rocciose.
Di già, i flutti
urtano contro le pareti della grotta. Alla flebile chiarezza del cielo
crepuscolare si sostituisce un lucore erubescente che pare salire dalle acque.
- Sembra un
incendio.
- Un effetto di luce
e suono.
- Avanzate,
signori-signore, avanzate ! Fa la guida.
I visitatori si
tengono per mano. Camminano uno dietro l’altro, saggiando il suolo che scende,
che scende.
La guida si volta
verso il gruppo. I suoi occhi sono rossi.
I turisti si
stringono su una stretta piattaforma rocciosa, sotto la volta fiammeggiante.
Sul fondo della grotta s’indovina un’imboccatura dove l’acqua si vaporizza. Si
delinea una forma. La forma si precisa. Una lunga barca marrone, sorta di
chiatta, uscita dalla strettoia, scivola verso i visitatori. Un uomo la muove
con l’aiuto di una gaffa. Si tiene in piedi, un po’ curvo, sulla poppa.
- Signore e signori,
dice la guida, siamo un po’ in ritardo. La compagnia vi prega di perdonarla.
Mormorii:
- Sono quasi le 19...
- La compagnia ha
previsto tutto. Il barcaiolo ci farà attraversare la grotta. Dall’altra parte,
troveremo uno stabilimento, il Poseidone, dove potrete riposarvi e ristorarvi
prima di terminare il viaggio.
Si solleva qualche
protesta.
- Tutto questo a
spese della compagnia, precisa la guida.
Dopotutto l’aria del
largo ha stimolato gli appetiti.
- Un
viaggio-sorpresa, ripete l’uomo giallo che scuote le spalle sotto il suo
armamentario. E aggiunge :
- Poseidone. Mi
ricorda qualcosa. In Spagna, le posadas, sono una specie di locande.
- Avete detto
Poseidone, fa il vecchio signore calvo. Il nome che gli antichi greci davano al
dio...
- Del mare,
interrompe la guida.
La chiatta si
affianca al crinale roccioso.
- Signore e signori,
se volete imbarcarvi.
…….
Nella notte che
cade, il Griffon, tutte le luci spente, molla gli ormeggi, vira di bordo e,
liberato del suo carico, riguadagna il largo.
…….
(Traduzione dal francese di Sauro Nieddu)
Bellissimo racconto, quello di Pierre Jean, più ascrivibile, forse, al genere fantastico che non fantascientifico. Racconto intenso, piacevole, vibrante, scritto magistralmente e magistralmente tradotto dal francese dal bravo Sauro Nieddu.
RispondiEliminaPer me è stato davvero un piacere lavorare a questo splendido racconto corale di Pierre Jean Brouillaud, in cui l'atmosfera surreale va rafforzandosi pian piano nel corso della narrazione, fino a una conclusione amara e trasognata allo stesso tempo.
RispondiEliminaSauro Nieddu
Quoto Paolo. Racconto più fantastico che fantascientifico, ma ottimo.
RispondiElimina5 stelle.
Bravo Pierre e bravo Sauro.
Sicuramente un bel racconto, sottile, armonioso.
RispondiEliminaG.S.
Fantasy impeccabile che non stona nel contesto fantascientifico. Dopotutto i confini non sono sempre marcati. Ce lo ricorda anche la più classica produzione anglosassone. Avvincente e bello nel suo impianto narrativo.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino