martedì 12 novembre 2013

IL TERZO GIRO È GRATUITO di Pierre Jean Brouillaud





(Con grande piacere pubblichiamo un altro racconto di Pierre Jean Brouillaud, uno dei più importanti scrittori francesi di genere fantastico; con altrettanto piacere salutiamo il debutto, nell’ambito delle traduzioni letterarie,  di Sauro Nieddu, valido scrittore e assiduo collaboratore di Pegasus Sf)

La ragazzina dagli occhi blu gli sorrise. Montava un cavallo bianco dalle briglie dorate. Léo ebbe appena il tempo di renderle il sorriso; la giostra portò via la bambina e, negli specchi che ornavano il suo asse, l’immagine dell’uomo. Dieci franchi, diceva il cartello, il terzo giro è gratuito.
Léo percorreva la banchina dove i passanti si attardavano tra le vasche di gerani. Una leggera bruma velava l’orizzonte ma lasciava apparire le linee nere dei tre isolotti. La giostra sgranava la sua musica sottile. Sotto i pini, il chiosco Napoleone III della compagnia di navigazione, aveva aperto gli sportelli. Contro l’imbarcadero, il battello-passeggiata, bianco e rosso, aveva fischiato tre volte.
- Visitate la laguna e le sue isole. Offritevi una vera crociera con i suoi scali-sorpresa. Oltre quattro ore di scoperte. Per solo cinquanta franchi. Venti franchi per i minori di 15 anni e per le carte Vermeil. Prossima partenza : ore 14:30.
Una coppia aveva appena preso i biglietti. Léo fece lo stesso.
L’imbonitore piantato sulla banchina gesticolava mentre i primi clienti impegnavano la passerella scricchiolante.
Contro l’impavesata, una bionda slavata dallo sguardo sfocato salutava con un buongiorno monocorde, augurava una buona traversata e strappava l’angolo ai biglietti .
- Quattro ore, disse una signora bruna accompagnata dalla figlia, questo ci porta alle 18:30. Spero che torneremo in tempo per la cena.
- Nessun problema, signora, rispose la bionda sullo stesso tono indifferente.
I passeggieri, nel numero di una ventina, si dispersero tra il salone, i corridoi e il ponte superiore. Léo si diresse verso la prua e si sistemò sopra la postazione di pilotaggio.
Ore quattordici e trentadue. La sirena lanciò di nuovo tre colpi di fischietto. La bionda levò gli ormeggi e il battello iniziò la manovra per lasciare l’attracco, superare il molo ed entrare nelle acque della laguna.
I motori, piuttosto in affanno, ansimavano. L’altoparlante cominciò a crepitare :
- Benvenuti a bordo del Griffon. La laguna si apre davanti a voi. La sua superficie è di 5000 ettari e la sua profondità media di 80 metri. Risalente all’ultima glaciazione, è chiusa dai cordoni litorali formati dai depositi alluvionali dei tre fiumi. Essa tende a colmarsi e, presto o tardi, sparirà. Ma, come potete giudicare, oggi è ben viva. Andiamo a scoprirne l’incantesimo e il mistero.
Léo prese la corsia di tribordo.
Un gruppo di gabbiani volteggiava a poppa, dove avevano preso posto, tra gli altri, la donna bruna e la sua monella come anche un personaggio tracagnotto, vestito con una tuta gialla, che portava al collo una macchina fotografica e un enorme binocolo. I passeggeri lanciavano frammenti di biscotti da sopra l’impavesata. Ma gli uccelli, senza dubbio sazi, virarono di bordo e si allontanarono a gran colpi d’ala.
Il Griffon aveva guadagnato il largo. Gli echi della giostra provenienti dalla banchina si percepivano ancora, flebilmente, ma furono presto coperti dagli accenti di un’orchestra.
La donna bruna, gli occhi socchiusi, lasciava che il vento giocasse con i suoi capelli. L’uomo in giallo fece scorrere il binocolo sulla superfice d’acqua, poi li puntò sulla linea che cresceva all’orizzonte.
- Non si vede granché, borbottò. Sembra deserto.
- Ci avviciniamo al nostro primo scalo, fece l’altoparlante. Scoprirete presto la vostra prima sorpresa.
Non era infatti che un isolotto. Non doveva avere più di 500 metri di larghezza, almeno da quest’angolazione. Da lì venivano gli accordi di un concerto romantico in cui dominava il piano. Di Chopin, forse. Un Notturno, disse un vecchio signore dal cranio lucente che sembrava conoscerlo.
Effettivamente, la riva era deserta.
Ore quindici. Il Griffon accosta a un approdo di legno annerito. Una barca tarlata beccheggiava tirando sulla sua catena.
- Benvenuti sull’isola incantata, tubò l’altoparlante di bordo. State per visitarla in tutta libertà. Per questo disponete di un’ora. È sufficiente. Non c’è il rischio che vi perdiate. Un cammino circolare, detto Sentiero dei doganieri, conduce al solo imbarcadero, quello in cui ci troviamo. E, da ogni punto dell’isola, sentirete il nostro appello. Alle 16 precise. Regolate i vostri orologi: sono le 15:04. Se prendete il viale che si apre di fronte a voi, in cinque minuti raggiungerete il maniero conosciuto sotto il nome di Château des Corneilles. Di per sé, vale la visita. Quando vi presenterete al cancello, direte: “Veniamo dal Griffon.” E vi sarà aperto. Vi auguriamo una buona passeggiata.
- Non c’è alcuna guida ? Fece la signora bruna con la fronte che si corrugava.
- È più divertente così, disse l’uomo col binocolo.
In un primo momento un po’ disorientati, i venti passeggeri, lasciando il cammino dei doganieri, presero il viale che portava verso l’interno, tra boschetti invasi dai rosai che nella fioritura avanzata iniziavano a perdere i loro petali. Qualche albero rado e rachitico stagliava contro il cielo la sua sagoma piegata ad angolo retto dal vento.
La musica era morta.
La strada saliva per raggiungere un terrapieno da cui si scorgeva il maniero, piccola costruzione in falso gotico.
Il viale ora si ornava d’una doppia fila di statue di fattura abbastanza maldestra che dovevano rappresentare le stagioni. I visitatori identificarono abbastanza facilmente le giovani donne dalle forme opulente cariche di fiori e di frutti, i vegliardi nodosi che legavano fascine di rami secchi.
All’ingresso del cortile, due donne di pietre, drappeggiate, velate, senza età, un dito posato sulle labbra, celavano un sorriso.
La pesante porta a cassettoni era chiusa. Il fotografo annunciò :
- Buongiorno. Veniamo dal Griffon.
La porta si aprì senza rumore.
Una voce sfrigolò:
- Benvenuti. Per non turbare l’armonia di questi luoghi, vogliate infilare le pattine messe a vostra disposizione nell’ingresso.
Un corridoio stretto, dal soffitto basso, vagamente policromo, portava a un’anticamera pannellata. Una panca di legno scuro correva tutt’attorno alla stanza.
La ragazzina piangeva. Perdette le pattine. Sua madre gliele dovette rinfilare due volte.
Tre o quattro persone stavano per approfittare delle sedie per riposare quando echeggiò qualche nota curiosamente metallica.
Il gruppo varcò la porta a due battenti, entrò sotto la volta di una sala da musica col parquet intarsiato a borchie d’ebano, un arredamento molto kitsch. Sotto i pesanti tendaggi di velluto granato, tra gli sgabelli intagliati, le poltroncine, i piedistalli degli abat-jour di perline multicolori, un piano meccanico scandiva alcune misure di una mazurka.
- Affascinante, fece una vecchia dama abbozzando dei passi di danza, vacillò. Ebbe un capogiro.
- Mi scusi !
Si aggrappò al braccio del fotografo.
La bambina aveva smesso di piangere, ebbe perfino un sorriso fugace.
Ben presto, il piano rallentò, si arrestò, la molla rilasciata.
Il melomane si accostò all’apparecchio, ricaricò la manovella. Sotto gli applausi del gruppo, la musica ripartì, prima d’imballarsi e slittare, provocando qualche breve risata.
I visitatori andavano e venivano, esitanti. Due o tre di loro si posarono sulle poltrone, le natiche sul bordo del cuscino.
Sopra una mensola era appeso uno specchio molato, punteggiato dall’umidità. La signora bruna ha voluto, di passaggio, guardarsi dentro. Emise un grido, poi scoppiò in una risata convulsa. L’uomo giallo si piantò a sua volta davanti allo specchio, scosse il capo, fece una smorfia, avanzò, retrocesse, prese una foto, soffiò sul vetro che si appannò, prese un secondo scatto. Poi, con la mano, fece per cancellare l’alone. Ma non ne ebbe il tempo. Era evaporato. Proseguì allora l’esame del luogo.
Léo si avvicinò. Lo specchio non restituiva le loro immagini. Rifletteva solo l’ambiente.
I visitatori sfilarono uno dopo l’altro. Alcuni si divertivano al fenomeno. Altri si allontanavano, a disagio. La ragazzina chiese alla madre di sollevarla per permetterle di guardare nello specchio.
- No! No! Non c’è niente da vedere, disse la madre.
- Voglio soffiare, disse la bambina.
L’uomo giallo si offrì di aiutare la bambina.
- No! Ve ne prego! Fece la donna.
La ragazzina si rimise a piangere.
La sirena del Griffon risuonò. Léo guardò il suo orologio : 16:00.
- Già ! Sospirò la vecchia signora.
La maggior parte dei visitatori, dopo aver tolto le pattine, si era già avviata, in silenzio, sulla strada del ritorno. Alcune ventate di musica romantica, fuggite dal maniero, li accompagnarono per un istante.
Speriamo che questo intermezzo vi sia piaciuto, disse l’altoparlante. Ma non aveva altro scopo che mettervi appetito. Il meglio deve ancora venire. Vi ricordiamo che un bar è a vostra disposizione nell’interponte. Vi offre un’ampia scelta di consumazioni oltre alla ristorazione calda e fredda.
Una decina di visitatori approfittò dell’occasione.
Léo comprò una birra e risalì subito sul ponte.
Stavolta, c’erano dei ritornelli che il vento portava dallo scalo successivo.
- Mi piace così tanto, disse la signora bruna che sembrava turbata e si aggrappava alla ringhiera. Sua figlia si stringeva a lei.
- Che cos’è ? Chiese la bambina.
- Un luna park.
- Ci saranno le giostre ?
- Forse. Se non piangi.
- Qui, almeno, è abitato, disse l’uomo regolando gli oculari. Si direbbero delle costruzioni.
- Cosa vedete ? Chiese Léo finendo la sua birra.
- Un villaggio di pescatori. Piuttosto piacevole. Case strette a picco sul porto. Reti che asciugano.
Sul pontile, ad aspettarli. Una fanfara. Ottoni e grancassa. I musicisti vestiti di nero portavano delle bizzarre bombette.
La musica esplose.
- L’Entrata dei gladiatori, disse il melomane. L’apertura abituale degli spettacoli da circo.
Allineati ai due lati della strada, i musicisti salutarono così i loro visitatori.
Dietro di loro si accalcavano gruppi di sfaccendati vestiti alla moda del 1900, le donne in corpetti di pizzo con maniche a sbuffo, sottane a grembiule, scialletti e scialli ricamati, gli uomini in bluse, giacche e berretti.
Poi la fanfara si ricompose in ranghi da quattro e risalì la via che si arrampicava verso il centro. Che altro fare ? I visitatori seguirono. I bambini del villaggio gli andarono dietro.
Man mano che i musicisti salivano la rampa, la musica cambiava carattere, i ritornelli si deformavano, si stiravano fino a somigliare a inni religiosi.
L’entrata di una piazza triangolare era sbarrata da uno striscione annunciante IL GIORNO DEL GIUDIZIO FINALE.
Nel mezzo della folla, un oratore, appollaiato su una cassa, urlava in un megafono :
- Pentitevi  !
La musica trascinante, piagnucolosa era sovrastata di colpo dal rombo della grancassa, straziata da stridenti richiami di tromba.
Negli intervalli, il predicatore ripeteva :
- Pentitevi  ! Presto, sarà troppo tardi. Pentitevi  !
Oppure… Léo credette, nel baccano, di aver sentito :
- Rallegratevi  !
La folla riprendeva in coro :
- Presto, sarà troppo tardi.
In mezzo ai visitatori sconcertati, la vecchia signora si mise ad applaudire. Senza dubbio aveva preso lo spettacolo per un’attrazione offerta dagli organizzatori della crociera.
Il fotografo mitragliava.
Esasperato dall’abbaiare del predicatore e da tutta quella mascherata, Léo svoltò in una stradina laterale che appariva deserta fino al momento in cui incrociò un personaggio coperto dai piedi alla testa di pellicce di sfumature diverse, bianche, nere, ruggine e brune. Il volto s’intravvedeva appena, a sufficienza per distinguere uno sfregio che gli segnava la guancia sinistra. Lanciava sempre lo stesso appello su poche note :
Pelli  Pelli  Pelli
Pelli di coniglio
Chi vuole delle pelli pelli pelli
Pelli di coniglio 
Notando Léo, si fermò, e gli si avventò :
- Una pelle di coniglio, signore ? Niente di meglio contro i reumatismi, i raffreddori, le congestioni polmonari che si portano via l’uomo più robusto ancor prima che abbia avuto il tempo di confessare i suoi peccati. Comprare una pelliccia, è prendere un’assicurazione sulla vita. Il suo alito che si mischiava all’odore delle pelli puzzava di gin.
E suonò una specie di campanello. Poi si guardò attorno, come se si aspettasse di veder apparire dei curiosi, dei testimoni, o dei complici.
- No, grazie ! Fece Léo con un gesto impaziente della mano per scostare il buonuomo.
- Viene un giorno in cui ci si pente… brontolò il mercante… le occasioni perse.
E finì di attraversare la strada.

Pelli di coniglio
Pelli  Pelli  Pelli

Il personaggio era appena scomparso oltre l’angolo di una casa. Da un portico sorse un uomo che portava un berrettino con visiera e un foulard sangue di bue annodato intorno al collo. Con un balzo, fu davanti a Léo che s’irrigidì.
L’uomo si toccò il berretto :
- Scusate, borghese. Non siamo dello stesso mondo...
Dal fondo della strada si poteva ancora sentire :
Pelli  Pelli  Pelli
 - Ebbene, borghese, proseguì il tipaccio, giacché si deve crepare...
Levò un coltello.
Léo era paralizzato dalla sorpresa. L’uomo sogghignò :    
- Fintanto che qualcuno ne trae vantaggio. Io, per esempio.
E, mirando al petto di Léo, piantò il suo coltello… nel vuoto.
Il tipaccio ebbe un sussulto. I suoi occhi si spalancarono. Alzò i tacchi e fuggì.
Léo non ha capito che gli è capitato. Porta la mano al petto. Sente il suo cuore che batte. Perché non ha fatto niente per difendersi, parare il colpo ?
Inebetito riprende il suo cammino. Gli tremano le gambe.
Una sirena fischia. Ah sì ! Che ora ? 17:45.
Sembra che, di colpo, il baccano sia cessato nella piazza.
Léo raggiunge il gruppo che si sforza di battere in ritirata. Preparandosi a discendere la strada declinante per riguadagnare il porto. È tallonato dai musicisti che ora suonano arie ricche di contrasti, con glissando minacciosi.
Schiacciati gli uni sugli altri, i visitatori si spintonano, alcuni incespicano.
Quando i musicisti serrano il gruppo troppo da vicino, il fotografo si volta, li fronteggia e fa scattare il flash, questo sembra costringere gli inseguitori a tenere una certa distanza.
Li tiene così rispettosi fino all’imbarcadero. E, intanto che i passeggeri salgono a bordo, la fanfara, allineata sotto le reti che puzzano di marea, li gratifica di nuovo con ritornelli da luna park.
Tra i venti passeggeri, apparentemente, non manca nessuno.
La bionda molla gli ormeggi.        
Un viaggiatore furioso minaccia di salire a lamentarsi fino alla postazione del pilota di cui si distinguono le spalle massicce. La sua donna e altri passeggeri lo dissuadono.
- Che volete  ! È un viaggio-sorpresa.
- E noi siamo tutti indenni.
Il fotografo cambia pellicola.
È allora che scatta l’altoparlante :
- Signore, signori, non serbateci rancore. Avete vissuto qualche istante d’emozione. Sono i casi dei viaggi-sorpresa. Per farci perdonare, vi offriamo una consumazione gratuita.
La maggior parte dei viaggiatori si trovava ancora nell’interponte, quando l’altoparlante risuonò di nuovo :
- Signore, signori, siamo ora nel cuore della laguna. Il terzo scalo vi riserva la più bella sorpresa della nostra appassionante crociera. Tra qualche istante, visiteremo la grotta rossa. Uno stupefacente spettacolo offerto dalla natura. Sono i più belli.
La signora bruna, sempre nervosa, guardò il suo orologio :
- Sono già le 18:30. La sera sta calando. Non si vedrà granché. Mi chiedo a che ora ci riaccompagneranno.
- La cena sarà servita nella grotta, disse l’uomo giallo, con aria beffarda. Sarà l’ultima sorpresa.
Un isolotto in cui affiora la roccia. Di qua, di là, rari ciuffi d’erba si sdraiano sotto il vento dal largo.
Il Griffon raschia un pontile dalle assi marce. Le signore che sbarcano saltellano maldestramente per evitare i vuoti.
Stavolta, li attende una guida. Un personaggio lungo dalla carnagione scura che tiene all’estremità di un’asta metallica un triangolo di tessuto cremisi.
La signora bruna pone di nuovo il quesito che la preoccupa :
- Sapete che ore sono. Quando ci riaccompagnerete ?
- È tutto previsto, signora. Non inquietatevi.
La guida ha uno strano accento :
- Se volete seguirmi, visiteremo una curiosità della natura che non vedrete da nessun’altra parte, la grotta rossa. Questo colore, che sarebbe più giusto chiamare rossastro, è dovuto a un fenomeno di riflessione della luce sulle pareti di granito.
Mentre il cielo impallidisce, il corteo, seguendo il triangolo di tessuto, scende i gradini che portano al fondo di una fenditura, sprofonda nelle fondamenta rocciose.
Di già, i flutti urtano contro le pareti della grotta. Alla flebile chiarezza del cielo crepuscolare si sostituisce un lucore erubescente che pare salire dalle acque.
- Sembra un incendio.
- Un effetto di luce e suono.
- Avanzate, signori-signore, avanzate  ! Fa la guida.
I visitatori si tengono per mano. Camminano uno dietro l’altro, saggiando il suolo che scende, che scende.
La guida si volta verso il gruppo. I suoi occhi sono rossi.
I turisti si stringono su una stretta piattaforma rocciosa, sotto la volta fiammeggiante. Sul fondo della grotta s’indovina un’imboccatura dove l’acqua si vaporizza. Si delinea una forma. La forma si precisa. Una lunga barca marrone, sorta di chiatta, uscita dalla strettoia, scivola verso i visitatori. Un uomo la muove con l’aiuto di una gaffa. Si tiene in piedi, un po’ curvo, sulla poppa.
- Signore e signori, dice la guida, siamo un po’ in ritardo. La compagnia vi prega di perdonarla.
Mormorii:
- Sono quasi le 19...
- La compagnia ha previsto tutto. Il barcaiolo ci farà attraversare la grotta. Dall’altra parte, troveremo uno stabilimento, il Poseidone, dove potrete riposarvi e ristorarvi prima di terminare il viaggio.
Si solleva qualche protesta.
- Tutto questo a spese della compagnia, precisa la guida.
Dopotutto l’aria del largo ha stimolato gli appetiti.
- Un viaggio-sorpresa, ripete l’uomo giallo che scuote le spalle sotto il suo armamentario. E aggiunge :
- Poseidone. Mi ricorda qualcosa. In Spagna, le posadas, sono una specie di locande.
- Avete detto Poseidone, fa il vecchio signore calvo. Il nome che gli antichi greci davano al dio...
- Del mare, interrompe la guida.
La chiatta si affianca al crinale roccioso.
- Signore e signori, se volete imbarcarvi.
       …….

Nella notte che cade, il Griffon, tutte le luci spente, molla gli ormeggi, vira di bordo e, liberato del suo carico, riguadagna il largo.
          …….

(Traduzione dal francese di Sauro Nieddu)


5 commenti:

  1. Bellissimo racconto, quello di Pierre Jean, più ascrivibile, forse, al genere fantastico che non fantascientifico. Racconto intenso, piacevole, vibrante, scritto magistralmente e magistralmente tradotto dal francese dal bravo Sauro Nieddu.

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  2. Per me è stato davvero un piacere lavorare a questo splendido racconto corale di Pierre Jean Brouillaud, in cui l'atmosfera surreale va rafforzandosi pian piano nel corso della narrazione, fino a una conclusione amara e trasognata allo stesso tempo.
    Sauro Nieddu

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  3. Quoto Paolo. Racconto più fantastico che fantascientifico, ma ottimo.
    5 stelle.
    Bravo Pierre e bravo Sauro.

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  4. Sicuramente un bel racconto, sottile, armonioso.
    G.S.

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  5. Fantasy impeccabile che non stona nel contesto fantascientifico. Dopotutto i confini non sono sempre marcati. Ce lo ricorda anche la più classica produzione anglosassone. Avvincente e bello nel suo impianto narrativo.

    Giuseppe Novellino

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