Incontrai il vecchio verso le due di notte. Vacillava
vistosamente sulle gambe, quasi stentasse a reggersi in piedi.
Un ubriaco! pensai.
Mi avvicinai, le braccia tese, pronto a sorreggerlo.
«Serve aiuto?» domandai.
Mi guardò con piccoli occhi iridescenti, come quelli
dei gatti.
«Al mondo, più che a me!» rispose, in modo sibillino,
con voce ferma, schietta.
Non mi parve la voce di un ubriaco.
Insistetti.
«Si sente bene?»
«Più di quanto si senta il mondo.»
Ancora il mondo!
Due risposte, le sue, di cui non compresi il
significato.
«Il… mondo?» chiesi.
«Questo mondo, certo! Non quello da dove provengo e
sul quale vorrei tornare.»
Lo fissai un istante.
«Capisco!» dissi. «Lei non è di queste parti? Viene da
lontano?»
Il vecchio sorrise leggermente.
«Lontano, sì, molto lontano, più di quanto possa
immaginare.»
«Oh!» l’esclamazione uscì, spontanea, dalla mia bocca.
«Vengo da lassù,» aggiunse, indicando in alto con la
mano.
Volsi lo sguardo verso le grandi montagne alla mia
destra, le cui cime coperte di neve splendevano sotto i vividi raggi della
luna.
«No, non dai monti,» esclamò il vecchio, intuendo il
mio pensiero, «ma da molto più in alto, dove il suo sguardo non può arrivare.
Vengo…» Si interruppe, crollò la testa. «Non importa. Non potrebbe capire.»
Senza neanche accennare a un saluto riprese il
cammino, continuando a vacillare sulle gambe.
Rimasi a guardarlo.
Il vecchio, forse sentendosi osservato, si voltò.
Tornò indietro di alcuni passi.
«Sarei voluto partire coi miei compagni,» disse,
«molti anni fa, ma hanno preteso che restassi. Chi meglio di me, primo
scienziato di classe XJ-340, avrebbe potuto studiare, analizzare, classificare
uomini, cose, animali? L’ho fatto volentieri. Era questo, in fondo, lo scopo
della mia missione, ma… nel vostro mondo ho visto e imparato anche quello che
mai avrei voluto conoscere né, tanto meno, ricordare. La cosa che più mi
addolora, mi tormenta profondamente, è che anch’io, pur non volendolo, sono
diventato parte di questo mondo. Ormai dispero tornare su Voithel, il mio
pianeta di origine, come anche…»
Non finì di parlare, si girò di nuovo e riprese il
cammino.
Questa volta non si voltò.
Mi grattai leggermente una tempia.
Scienziato
XJ-340… scopo della missione… Voithel… Altro che ubriaco! pensai, mentre seguivo il vecchio con lo sguardo. È soltanto un povero matto, anzi, un matto
da legare!
Stetti a guardarlo finché, improvvisamente, scomparve
nel nulla.
Per un lungo momento restai con la bocca spalancata e
il fiato sospeso. Avvertivo, inoltre, una sensazione di vuoto allo stomaco. Poi
scossi la testa e alzai, davanti ai miei occhi, la mano che stringeva la
bottiglia. Al suo interno era rimasto un po’ di vino.
«È tutta colpa tua!» esclamai. «A forza di berti, mi
hai fatto venire le traveggole. Brutto segno! Meglio che smetta prima che
caschi nel fosso al ciglio della strada.»
Stavo per lanciare la bottiglia lontano quando mi
bloccai. La guardai e, lentamente, l’accostai alle labbra.
«Ecco,» esclamai, dopo averla scolata. «Giuro che non
toccherò più un goccio di vino… questa notte. Lo giuro solennemente.»
E gettai la bottiglia.
Bel racconto di emozioni umane con finale inaspettato...
RispondiEliminaaccattivante e sottilmente malinconico...quel graffio ironico alla fine è un lampo di vita
RispondiEliminapeppemù
Finale a sorpresa. Ottimo racconto.
RispondiEliminaGrazie a tutti dei commenti. Troppo buoni!
RispondiEliminaGeniale! Una bella e ironica versione dell'"uomo caduto sulla terra". Interessante la prima parte nella quale si descrive l'incapacità di aprire gli occhi sulla "realtà". Ma sarà poi questa la realtà? Segue la sorpresa con la malinconica conclusione.
RispondiEliminaL'anonimo del messaggio-commento precedente sono io: Giuseppe Novellino... e non sono un alieno.
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