Celeste
era una vera bellezza, una bellezza pari soltanto alla sua stupidità.
Quando chiedevano ai suoi padroni di che razza fosse, rispondevano, invariabilmente, scarto di collie: insomma, madre collie, padre ignoto, costata niente.
Quando chiedevano ai suoi padroni di che razza fosse, rispondevano, invariabilmente, scarto di collie: insomma, madre collie, padre ignoto, costata niente.
Sandy,
madre di Celeste, sapeva andare a prendere i cavalli di sera e ricondurli nella
scuderia. Inoltre, sorvegliava la predetta scuderia, i fienili e la casa dei
padroni contro qualsivoglia intruso, a due o più zampe. Era anche
un’infallibile procacciatrice di selvaggina. Insomma, se esaminata dal
Ministero, se la sarebbe cavata a pieni voti.
Dal
canto suo, Celeste, a un dato momento, aveva impedito la fuga d’un gatto
sedendoci sopra. Tali furono i fastigi della sua carriera canina.
Ma
Celeste era tanto bella! Occhioni d’un castano screziato, una lunga criniera
bionda da far invidia alle più stupende indossatrice, zampe sottili d’un bianco
virginale, e, per soprammercato, indole d’una squisita gentilezza! Dolce,
bella, sottile… e scema.
Figuratevi lo stupore della sua padrona
quando, una gelida sera di gennaio, mentre tutta la frazione di Saint-Thomas de
Saint-Séverin-de-Proulxville dormiva al bagliore della sorgente luna piena,
Celeste scappò.
Certo,
tutti i cani scappano prima o poi, direte voi… Ebbene no, appunto. I suoi
padroni avevano sempre ritenuto Celeste troppo scema per solo pensare a fuggire
un domicilio familiare tanto comodo, e, soprattutto, il divano di velluto blu
di cui aveva mangiato il bracciolo in un
momento di smarrimento – ma era tanto bella che l’avevano perdonata.
La
padrona di Celeste s’infilò un colbacco, un paio di stivaloni e, profondamente
offesa, si mise a pedinare la delinquente sulle prode del fiume des Envies,
dormente sotto una spessa crosta di ghiaccio in quella bella serata invernale.
Non era difficile : il giorno prima, era nevicato e la luna rischiarava
tanto il paesaggio che sarebbe stato possibile leggerci un libro. Dopo un
chilometro di marcia, la padrona si sentì ridicola, chiamò la cagna per
l’ultima volta e ritornò a casa bestemmiando al punto di compromettere la
salvezza dell’anima sua.
Nel
frattempo, per via del plenilunio, la frazione Saint-Thomas dormiva malissimo.
Nelle stalle, si formavano amicizie contro natura, come quella dello stallone
di Prima Trudel con la capra di suo cognato Roger. Taccio delle altre.
E
la bella Celeste correva, correva…
Sulla
riva del fiume, Ti-Guy Brouillette sorvegliava la sua sfilza di trappole,
imprecando. Ti-Guy era proprio un brutto ceffo : in paese, tutti lo
evitavano il più possibile. Era un miscredente inacidito e alcolizzato che sua
moglie aveva lasciato sporadicamente dapprima e difinitivamente poi dopo
quindici anni di matrimonio per il peggio e per il peggio. I figli non gli
parlavano più ed avevano voluto assolutamente essere diseredati. Ti-Guy
trasferiva la propria rabbia contro il genere umano e la creazione in generale
sulle malcapitate bestie da lui intrappolate. Le pelli non gli rendevano un
granché, ma era il fatto di trovar lupi, volpi, lontre o magari coyote
agonizzanti in una delle sue trappole che lo mandava in sollucchero e lo
spingeva ad uscire nonostante le intemperie, soprattutto a delle ore in cui i
parrocchiani hanno la decenza di starsene a letto.
Quella
notte, la sfilza di trappole era completamente vuota, e Ti-Guy dava in
escandescenze.
Sudato fradicio nonostante il freddo, avanzava
sulle prode fluviali, nella neve molle, arrancando – due giorni prima, aveva
scambiato le racchette di marcia contro una cassa di ventiquattro birre. Il
fiume serpeggiava ed attraverso i meandri scorrevano fonti da cui bisognava
guardarsi, anche nel più profondo rigore invernale. Il ghiaccio traditore
poteva assottigliarsi per un balordo privo di racchette, e Ti-Guy non era
abbastanza ubriaco da dimenticarselo.
Uscendo
da un cumolo di neve particolarmente coriaceo dietro un argine, ansimando come
un brocco e sudando come dieci, fu stupefatto al punto di smettere di
bestemmiare di botto.
Sul
ghiaccio del fiume, una stupenda fanciulla conduceva una ronda silenziosa con
cinque grandi coyote sfiancati. Su due zampe, con la lingua fuori, formavano un
girotondo con la bella, tenendosi tutti per la zampa o per la mano – tranne il
coyote al quale mancava una zampa anteriore, che Ti-Guy Brouillette avrebbe
potuto restituire : trovata a brandelli nell’autunno scorso in una
trappola, penzolava adesso sullo specchietto retrovisore del suo vecchio pick-up – giacente nel deposito auto
municipale da due mesi, dopo essere stato rimosso dalla pubblica sicurezza
quebecchese.
Tutti
sembravano seguire una musica turbolenta, inaudibile per Ti-Guy :
saltavano, facevano un passo avanti ed uno indietro, in modo sincopato, ma
sempre all’unisono. Il più curioso ricordo che l’uomo conservò di questo ballo
demoniaco, ma mai sgraziato, fu l’assenza assoluta d’indumenti sul corpo della
ragazza : niente berretto di lana per coprire le fluenti chiome bionde,
niente… proprio niente, da nessuna parte. Normalmente, Ti-Guy sarebbe stato
pervaso da pensieri volgari e bassamente libidinosi alla vista di cotanta
prestanza femminile, ma, nella fattispecie, si sentiva molto a disagio. Dopo
qualche altra giravolta, si sentì
decisamente inquieto. Benché accovacciato in un banco di neve, si sentiva
scovato. Quando arrivava davanti a lui, la ballerina gli scoccava il suo più
bel sorriso. Se i suoi occhi verdi screziati d’oro non fossero in forma di
mezzaluna, se i canini non fosssero stati tanto impressionanti, la creatura gli
sarebbe parsa desiderabile. Era la nudità totale della fanciulla à -32°,
congiunta alla presenza dei coyote ,che gli dava fastidio. Si sentiva perfino
un po’ colpevole per via della zampa nel pick-up. (Ti-Guy Brouillette non si
era mai sentito colpevole da quel Natale 1973 in cui aveva dato fuoco all’abete
per vedere se avrebbe bruciato sul serio).
Inndietreggiò
piano piano fino al promo meandro del fiume, quindi corse a perdifiato per
boschi e per campi, fino a casa sua.
Quando
sorse l’alba, i padroni trovarono Celeste sdraiata sulla soglia del portone. La
rampognarono copiosamente, dandole, tra l’altro, della svergognata e della
femmina da cani da slitta. Celeste entrò in casa con l’aria contrita e la coda
tra le zampe, si acciambellò sul divano di velluto blu e dormì per due giorni
di fila.
La
mattina stessa, Ti-Guy Brouillette telefonò al 1-800 degli Alcolisti Anonimi,
un’associazione che frequenta assiduamente ancora oggigiorno. Non è mai
ritornato sul luogo delle
trappole : il vecchio pick-up et la zampa di coyote sono ancora al
deposito. In paese, si dice che gli succede perfino d’essere beneducato. Ma
tutti sanno che le ciarle di paese lasciano il tempo che trovano…
(Traduzione dal
francese di Serena Gentilhomme)
Bello e magico questo racconto invernale
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