Il caso di Marjorie B. è uno degli ultimi a essere
stato trattato coi vecchi metodi d'investigazione, metodi che facevano appello
alle capacità deduttive necessariamente limitate del cervello umano.
È per questo motivo che c'è voluto così tanto tempo
per svelare i suoi segreti anche se era stato affidato a uno degli intelletti
più fini della California, l'ispettore Jonas Ignacio Martinez?
Marjorie B. è morta un bel pomeriggio di giugno in un
incidente accaduto sul celebre miglio dei miliardari. La sua auto ha
mancato una curva, è caduta nel Pacifico dove si è schiantata sugli scogli
prima di ribaltarsi e colare a picco. Marjorie è morta sul colpo come i due
cocker che l'accompagnavano. Beninteso, la macchina era dotata di pilota
automatico, che era guasto come ha dimostrato l'inchiesta.
Il caso si sarebbe potuto chiudere lì.
Ma l'ispettore Martinez voleva sapere perché Marjorie
B. che aveva un autista fra la sua numerosa servitù, non si era fatta
accompagnare da lui. Certo, ci si poteva domandare perché questa signora
proprietaria di un veicolo a guida interamente automatica avesse bisogno di un
autista, ma questo era uno status symbol. Quel giorno aveva rifiutato
l'aiuto di quello che per scherzo chiamava Caronte, un nome che aveva
recentemente sentito in un programma televisivo e che era, sembra, presso gli
antichi, quello del traghettatore incaricato di trasportare le anime
all'inferno.
Si interrogò Caronte e lo si era accusato di
negligenza nella manutenzione della vettura. Lo si disattivò, essendo un robot.
E il caso fu chiuso. Per la polizia.
Ma oggi siamo in grado di ricostruire le circostanze
che precedettero la scomparsa di Marjorie B.
Da dieci anni, Marje per gli intimi, quarantacinque
anni al momento della scomparsa, viveva separata di fatto ma non divorziata dal
marito Malcolm, il re dei fast food residente nel New England. Lei si era
installata a Santa Monica sulla costa del Pacifico, mettendo tra loro due tutta
la larghezza del continente. Non aveva alcuna intenzione di rinunciare alla sua
indipendenza e viveva senza preoccupazioni.
Sino al giorno in cui ricevette dalla sua amica e
rivale Shirley questo stupefacente messaggio:
“E' Fatta! L'ho fatto! Quanto tempo che ci pensavo!
Non te ne ho parlato per farti una sorpresa. E non dubito che sarai sorpresa, Marjorie, ho fatto clonare Jef. E Jef è estasiato.
Lo diverte tanto vedersi altrimenti che in immagine nello specchio!”
Jef era il marito di Shirley.
Che folle idea! Non che il costo fosse un ostacolo per
una donna come Shirley che aveva fatto fortuna nei cosmetici, ma Marje trovava
un uomo già abbastanza ingombrante.
Shirley era sempre stata un'originale. Passi, ma a
quale impulso obbediva quest'ultima originalità? Tra due sorsi di Earl Gray Marje
si batte la fronte. “Ma sono scema? Non mi ha confessato una sera che aveva
un po' abusato dei cocktail, che aveva certe voglie? Alla sua età?
Cinquant'anni, cinquantadue per l'esattezza. E' vero che ha, vediamo, dodici
anni meno di suo marito. Ma certo! Si è offerta a fianco del suo vecchio
barbogio, un giovane amante. Un menage a tre in piena legalità!”
Poiché questo ormai era deciso. A quali condizioni?
Non ricordava bene, sembrava molto complicato, ma la cosa più importante era
dimostrare agli amici, ai conoscenti, a Shirley che lei, Marjorie, aveva anche
lei i mezzi per una simile stravaganza, e che non sarebbe rimasta indietro.
E dopotutto, perché non sperimentare queste nuove
tecnologie che facevano furore? Clonare? Si ma chi? Sarebbe stato assurdo far
fare una copia identica di uno dei suoi domestici. Non si clona un robot, se ne
compra un altro, dell'ultima generazione. E d'altronde la qualità dei loro
servizi lasciava a desiderare, non c'era alcuna ragione di duplicare il
presente personale.
Alla fine, per fare un esperimento senza troppe
conseguenze, fece clonare Pipo, il suo pappagallo e Bobby, il suo cocker.
Per un momento si divertì, ma poi scoprì che due
pappagalli erano gelosi, si detestavano e passavano il tempo a insultarsi
scambiandosi nomi...d'uccello. Chi gli aveva insegnato queste volgarità? Non
potevano essere che i robodomestici che a forza di frequentare i loro datori di
lavoro, manifestavano qualche malizia, per non dire una certa perversità.
Fortunatamente i due volatili erano legati ciascuno dal suo lato del posatoio,
altrimenti ne sarebbero volate di piume!
In compenso, tutto era andato bene coi cocker, due
amori! Un successo su due, il bilancio non sembrava così cattivo.
Era abbastanza?
No, invecchiata tra i suoi uccelli, i suoi robot, i
suoi cani, a dire il vero ne aveva abbastanza di partite a poker, di
ricevimenti, di pettegolezzi del jet-set. Ne aveva abbastanza di quelle
maschere di carnevale, di quelle vecchie facce oltraggiosamente
impiastricciate, raffazzonate. Provava delle crisi di noia, facendosi vincere
da un sentimento di un'altra epoca, quella malinconia di cui soffriva sua madre
e che aveva forse ereditato.
“Quel che mi manca”, si diceva, “E' una dama di
compagnia né troppo giovane né troppo anziana. Con lei si sarebbe potuta confidare
senza riserve.
Ma dove trovare la perla che non avrebbe tradito la
sua confidenza?
A forza di pensarci, ci perdeva il sonno.
Una notte prese la decisione, si sarebbe fatta clonare
lei stessa.
“Dopotutto”, pensò, “Il dialogo migliore non è quello
che ciascuno di noi intrattiene con se stesso?”
Il mese precedente aveva proceduto al cleaning cellulare
annuale che eliminava le scorie il cui accumulo nell'organismo provoca
l'invecchiamento. Nell'immediato non rischiava niente. Oltre al mensile
(generoso, bisognava riconoscerlo) che le versava Malcolm, disponeva di una
fortuna personale. Godeva di una salute tanto più robusta in quanto non aveva
mai toccato gli intrugli prodotti dal marito. Al riguardo, Dump, il suo robot
cuoco aveva istruzioni precise.
Da molto tempo si era passati dalla clonazione
terapeutica alla clonazione riproduttiva. La scienza aveva eliminato tutti i
rischi di anomalie nei mammiferi così ottenuti, era facile quanto riprodurre
una pianta per talea. Ormai le donne potevano liberarsi dell'impaccio della
gravidanza e del parto. Era sufficiente praticare il trasferimento nucleare, si
prelevava dal donatore una cellula che produceva un embrione assicurando una
perfetta compatibilità genetica con l'originale. L'embrione si sviluppava
dentro un utero artificiale, poi proseguiva la sua crescita dentro
un'incubatrice altrettanto artificiale.
Marjorie non aveva alcuna intenzione di occuparsi di
un bambino. Questi esseri, immaturi per definizione, non tardano a diventare
degli estranei, quando non si rivoltano contro di voi.
Grazie all'AMP (Accelerated Maturation Process),
coloro che non desideravano passare per il lento processo che prevede la natura
– almeno fino all'adolescenza – potevano ottenere la copia conforme in nove
mesi, cioè curiosamente la durata di una gravidanza nell'utero all'antica.
In seguito, bastava fare un trasferimento di memoria
come nell'informatica, si risparmiava dunque il lungo processo di apprendistato
che rappresenta l'infanzia, e molto presto li si poteva trattare da pari a
pari.
Scegliere la fascia d'età al momento di fare l'ordine,
si dimostrava la cosa più delicata. La preferenza per la tenera infanzia era la
più lontana da Marjorie che l'attribuiva al sentimentalismo di un'altra epoca.
Poi veniva la fascia dei 18-20 anni. Non era la più adatta al dialogo, come
comprendersi con un doppio di quella generazione? Senza parlare dei rischi di
conflitto.
Optò per la fascia dei 30-40 anni. In effetti, oltre
c'erano anche rischi di conflitto, poiché allora i caratteri erano troppo
consolidati.
Non erano trascorsi tre mesi, che già aveva fretta di
vedere il suo progetto prendere corpo.
Alla data prevista le fu infine consegnata la copia
richiesta.
Stentò a riconoscersi. Quella creatura era lei a
trent'anni?
Riesumò le sue foto tridimensionali dell'epoca, poi il
suo ritratto a olio dovuto al pennello di Boris Chudka, artista alla moda. Buon
Dio, era così cambiata? La tela non era necessariamente una prova, il pittore
poteva avere un po' adulato la modella.
Finì per convincersi che dopotutto il clone doveva
rendere un'immagine molto fedele dei suoi trent'anni, e in un certo senso (ma
quale?), era più Marjorie che lei stessa.
Bene, avrebbe rivissuto per clone interposto i suoi
begli anni, tranne che per l'imbarazzante presenza di un marito.
Era promettente, stavano per condividere gli stessi
ricordi, li si poteva evocare davanti a una tazza di thé o in un giorno di
pioggia. Sarebbe stato divertente, anche commovente.
Dear me!
Ecco! Mia cara! Cara me! In questo gioco di parole Marjorie aveva trovato i
termini affettuosi con cui rivolgersi a...
Colei a cui si doveva dare il doppio nome previsto
dalla legge. Questa prevedeva in effetti che il clone portasse per primo il
nome del suo originale – Marjorie quindi – e un secondo solo suo che permettesse
di distinguerlo a tutti i fini utili.
Il vantaggio era che si poteva fare questa scelta in
pieno accordo con l'interessata... che si sarebbe chiamata Lisbeth.
Ebbene, non andava così male. Quando si trattava di
ravvivare i ricordi, ad esempio:
-
Dear me, ti ricordi le vacanze a Lake Placid negli
Adirondacks e le gare di slittino?
-
Ah! Si!, faceva
Lisbeth, che non si ritrovava ancora bene fra i meandri del passato.
Marjorie insisteva
-
E Alf? Te ne
ricordi?
-
Alf? Scusami, non
molto bene.
-
Ma si, fai uno
sforzo...quando i nostri due slittini si sono incrociati. Alf, un caro ragazzo, ben fatto di persona, se non
l'avessi scioccamente perso di vista, è lui che avrei dovuto sposare. Tutto
sarebbe andato diversamente. Non ti pare?
Lisbeth faceva di si con la testa, per semplificare.
Non si può modificare il passato, ma lo si può
condividere con la propria migliore amica, con se stessa insomma.
A ogni modo, una situazione così nuova sollevava tanti
problemi che non c'era il tempo di annoiarsi.
Per quello c'erano gli affari, notoriamente.
Marjorie aveva una lunga esperienza in questo campo
dove Lisbeth doveva trovare il suo posto, ma quale?
Nell'ambito di quello che la legge definiva ormai con
il nuovo concetto di dual company, E' così che le due donne crearono la Marje
and Marje C° che non tardò a prosperare. Marje one era un'esperta in
materia, e Marje two alla sua buona scuola apprendeva presto.
Lisbeth è una donna intelligente, constatava Marje one,
avendo però coscienza di indirizzare il complimento a se stessa. Bah,
dopotutto, quali sono le relazioni umane che non sono condite da una dose di
ambiguità?
Oh si, c'era ogni tanto qualche motivo di attrito. La
precedenza, tra gli altri, Marjorie one insisteva per passare per prima
in quanto più anziana. Lisbeth che acquistava man mano sicurezza, mal
sopportava di essere messa in secondo piano.
“L'anzianità non c'entra”, diceva, “Se io sono te, noi
passiamo insieme, se possibile fianco a fianco”.
Marjorie stimava che era suo dovere e suo interesse
aiutare la sua compagna ad arricchire le sue conoscenze e dunque il contenuto
della sua memoria, a integrare bene il loro passato, in una parola crearsi dei
ricordi in simbiosi coi suoi.
Nello stesso tempo le piaceva mostrare e far ammirare
la sua opera. Le sue amiche erano estasiate. “Che coppia adorabile formate voi
due!”.
Cosa dicevano dietro le spalle? Marjorie se ne fregava.
“Lisbeth è una piccola oca!”
Entrata una mattina nella veranda dove aveva relegato
i due pappagalli litigiosi, Marjorie fu accolta da questo doppio grido.
Si chiese se avesse sentito bene.
Subito Pipo uno e Pipo due ripeterono all'unisono:
“Lisbeth è una piccola oca!”
Ritti sul loro posatoio e battendo le ali, avevano
un'aria molto contenta di sé.
Chi aveva
insegnato loro questa villania? Senza dubbio Batch, il maggiordomo, che non
apprezzava affatto la doppiezza. Tuttavia Lisbeth aveva eccellenti
rapporti con la maggior parte dei servitori, soprattutto il cuoco e l'autista
della signora, o meglio delle signore, padroneggiava meglio di Marjorie one il
robotico, il linguaggio utilizzato per rivolgersi al personale.
C'era però nel caso dei pappagalli un mistero che si
propose di risolvere. Intanto, avrebbe osservato più da vicino il comportamento
della sua compagna.
Lisbeth mostrava una curiosità sempre sveglia,
sembrava interessarsi molto alla storia, aveva letto i libri (cartacei) che
Marjorie conservava di sua nonna e che, senza aprirli, aveva sistemato sugli
scaffali del suo ufficio a scopo decorativo. Il passato tornava di moda.
Disponendo di una memoria tutta nuova, Lisbeth non
solo apprendeva presto, ma talvolta si ricordava di episodi che Marjorie
aveva dimenticato o anche – cosa più inquietante – di episodi che aveva
rimosso, come i tradimenti di quel farfallone di suo marito. Lisbeth ci prese presto
un maligno gusto a rievocare queste disavventure e a fare a questo riguardo
domande indiscrete, col pretesto che doveva sapere tutto della loro vita
comune.
La copia guadagnava man mano ascendente
sull'originale. Più si andava avanti, più si compiaceva di apportare delle
contraddizioni. Si vestiva in modo provocante, preferendo il giallo, colore che
Marjorie detestava.
Al punto che lei, indispettita, le chiese un giorno:
“In definitiva, cosa vuoi?”
“Vivere la mia vita, essere me stessa, farmi dei ricordi,
dei ricordi solo miei”.
“Quello che vuole”, pensò Marjorie, “E' condurre
parallelamente alla nostra vita comune una vita segreta”.
Pensò bene di protestare:
“Dear me, tu sei il mio sangue, la mia carne!”
Dicendo questo, Marjorie si accorse di comportarsi
come avrebbe fatto con un figlio. Lisbeth non mancò di ribattere:
“Io non sono tua figlia, io sono il tuo doppio, la tua
ombra, io non sono niente”.
“Noi siamo come delle gemelle, le gemelle vivono
ciascuna la sua vita, ma hanno dei legami tali che niente le può separare”.
Ma Lisbeth aveva studiato la questione sulle migliori
fonti. Replicò:
“Tra i veri gemelli detti omozigoti, il tasso di
completa somiglianza fenotipica non è generalmente superiore al 50%”.
E aggiunge:
“E noi non entriamo senza dubbio in questa
percentuale. Come puoi constatare, tra me e te non c'è una totale identità
psicologica”.
Cosa rispondere se non tentare di capire meglio da una
parte le differenze, dall'altra quel che restava di terreno comune?
E presto fu evidente che Lisbeth si interessava agli
uomini.
Da allora, Marjorie non ebbe più che un'ossessione:
cercare colui che le avrebbe rubato l'affetto di Dear me.
Si introdusse nella camera della sua gemella in sua
assenza, aprì il suo computer-fono e cominciò a navigare.
Un file la colpì, era indicato con una sola lettera:
“M”.
Ah, ah, ah! Eccoci!
M… Man… Mister… Martin… Michael…
Ebbe qualche difficoltà ad aprirlo, infine ci riuscì.
“Le mie memorie”, annuncia la voce di Lisbeth.
Marjorie sussulta. La voce prosegue:
“Sono nata da padre ignoto, si sarebbe detto un tempo.
Di fatto, il mio padre naturale, di cui tacerò il nome, è stato uno degli
uomini più illustri del suo tempo, io sono cresciuta nella sua ombra. Mia madre
in compenso era una donna insignificante di cui non è utile menzionare
l'identità, così insignificante che mio padre non si è mai dato la pena di
“regolarizzare la situazione” secondo il curioso frasario dell'epoca. “Un
errore di gioventù”, confessava le rare volte che si lasciava andare a
confidenze”.
“Bene”, pensò Marjorie mezza rassicurata, “Sta
dettando un romanzo. Strano passatempo ai nostri giorni. Ha letto troppi di
questi cattivi tomi”.
In queste presunte memorie dove, beninteso, Lisbeth immaginava per intero il suo “passato”, non
c'era il problema di una seconda Marjorie. Lisbeth sopprimeva così colei a cui
doveva la sua esistenza. Una sorta di matricidio, di assassino morale. Il
vostro clone è come vostro figlio, Si domandava Marjorie che aveva pure sentito
parlare di un certo Freud le cui idee bizzarre avevano un tempo fatto furore.
Un clone, per essere se stesso, doveva uccidere il suo genitore?
Ma subì un nuovo shock quando sullo schermo
tridimensionale apparve l'immagine di un uomo. Senza alcun dubbio, era quella
di Malcolm, suo marito, assieme a una bambina di sette-otto anni. Chi era
quella piccola? Marjorie si ricordò, era Felicity, una delle sue nipoti.
Febbrilmente, Marjorie ingrandì l'immagine cercando di identificare meglio la
bambina che somigliava...a chi? Una nipote. Normale che avesse un'aria di
famiglia, che somigliasse a...Ma si, ma si, alla stessa Marjorie a quell'età.
Vediamo, vediamo. Quest'aria di famiglia era un
dettaglio di cui non si ricordava, ma quello che vedeva, era che la piccola
aveva la faccia che avrebbe avuto Lisbeth supponendo che avesse mai avuto sette
od otto anni.
Cos'era accaduto? Lisbeth aveva sicuramente manipolato
l'immagine. A che scopo? Aveva forse indovinato che Marjorie avrebbe conoscenza
per effrazione del file?
Ma perché andare a cercare proprio Malcolm come padre
sostitutivo? Lisbeth aveva fatto cadere la sua scelta sull'uomo che aveva per
così dire a disposizione, il marito di quella che dopotutto era la sua madre
biologica.
Divisa fra lo shock delle aggressioni che stava
subendo e la curiosità, scelse di continuare e riprese la sua navigazione.
Finì per scoprire un altro file intitolato CLOWN. Per
un attimo esitò ad aprirlo. Cosa poteva apprendere ancora?
Ci si tuffò.
Le confessioni di un clown cominciavano così:
“Spettatore troppo curioso, mi perdonerai un brutto gioco di parole, ma la ragion d'essere di un clone
è talvolta di distrarre il suo originale. Mi si permetterà questa parentesi.
Originale, ho detestato a lungo questa parola. Poi mi sono persuasa che la
seconda prova dà spesso migliori risultati della prima. Fine della parentesi.
Rimane nondimeno il fatto che un clone è più o meno l'equivalente di un buffone
per i re di un tempo, un clown”.
Marjorie non andò oltre. Il tono pretenzioso di quella
frase ancora ispirata a quei dannati vecchi tomi, l'esasperava.
Si persuase che le memorie non le avrebbero detto
altro sul rapporto fra Lisbeth e gli uomini.
Ma una domanda la tormentava: a quale spettatore o
lettore pensava il suo doppio? Era forzata a rispondere “Sono io!”
Eccola confrontarsi con quella rivolta che aveva
creduto di evitare scegliendo la fascia dei 30-40 anni.
Poi le cose sono andate molto in fretta.
Frattanto Lisbeth prese a dormire fuori casa, e non si
preoccupava di disfare il suo letto. Marjorie la fece seguire da un detective.
Dear me aveva
affittato uno studio.
Il computer era anch'esso scomparso. Senza dubbio
Lisbeth l'aveva portato sul luogo dei suoi amori dove continuava a dettare le
sue memorie. Peccato, si sarebbero rivelate ancora più gustose.
Poi sfuggendo a ogni sorveglianza, Lisbeth sparì di
punto in bianco.
Occorsero tre mesi a Switch, indagini di tutti i
tipi, per ritrovare le sue tracce sulla
costa orientale.
Marjorie scattò:
“Sulla costa orientale? E' sicuro? Io credo che lei
abbia affidato questo lavoro a uno dei suoi robocop. E' assurdo. Come
potrebbe un automa comprendere le molle dello spirito umano? Dell'anima (le
venne da recuperare questa parola caduta in desuetudine)?”
“Signora, Bug è uno dei nostri migliori segugi, è
incaricato unicamente dei ritrovamenti, e non di interpretare i sentimenti o le
motivazioni delle persone ricercate”.
“Non è possibile che usando il linguaggio robotico si
rischi qualche errore di interpretazione?”
“Sono dell'ordine del due per mille, si può dire che
sono trascurabili, come può giudicare lei stessa”.
“Ha detto costa orientale, dove precisamente?”
“Boston”.
“Vuole insinuare...?”
“Signora, sembra che sia andata alla ricerca...”
“Tagli corto!”
“Di suo marito che...”
“È in qualche modo anche il suo”.
Restava da ottenere una conferma, che non tardò. Marjorie
two tradiva Marjorie one con Malcolm che doveva essere molto
divertito dalla faccenda. Tradiva, si se la parola aveva ancora un senso. Ma la
tradiva veramente, poiché le due donne sotto un certo punto di vista legale non
erano che una sola e stessa persona?
D'altra parte, poiché tra Marjorie one e suo
marito non c'era né divorzio né alcuna altra forma di separazione legale,
Marjorie one si voleva convincere che lui era semplicemente adultero.
Voleva approfittarne per intraprendere un'azione legale e tentare di rompere
l'ultimo legame con lui, quando apprese che Malcolm aveva preso l'iniziativa e,
su parere del suo consulente legale, pretendeva di sposare legalmente la sua
compagna, avvalersi di un nuovo status che ormai la legge prevedeva, l'ambigamia.
L'avvocato di Marjorie alzò le braccia al cielo.
“Cara signora, cos'è una persona umana? E' molto tempo
che si tenta di darne una definizione, e non si è mai arrivati a una che
mettesse tutti d'accordo”.
“Ma nel nostro caso...”
“La Corte suprema ha ritenuto di pronunciarsi in
questo senso: il doppio e l'originale sono la stessa personalità (noti
la sfumatura), se hanno lo stesso partner non è bigamia né adulterio...Lei
perderà la causa”.
Così avevano trovato una formula che permetteva tutto
e qualsiasi cosa, l'ambigamia, si ripeteva Marjorie con amarezza. Cercava di
rassegnarsi: c'erano gli ambidestri, i bisessuali, i poligami, perché non gli
ambigami? Cosa avrebbero detto nonno e nonna se avessero visto questo? E il
prozio Timothy che era pastore cristiano rinato?
Da parte sua, l'ispettore Martinez aveva compreso la
relazione tra le due Marjorie. Pensava che quel giorno fatidico Marjorie one
aveva rifiutato l'aiuto di Caronte perché lo sospettava di connivenza con
Lisbeth, e sospettava Lisbeth di aver ordinato a Caronte di sabotare la guida
automatica per sbarazzarsi dell'originale e vivere infine la sua vita. Ma
all'epoca non disponeva di alcun elemento di prova.
Rassegnato, aveva detto a sua moglie:
Gelosia, amore, odio. Possiamo darci da fare quanto vogliamo,
restiamo dei primati.
Chiuso il caso, Lisbeth, che si dimostrava un'abile
donna di affari, piantò il suo amante Malcolm, ereditò da colei che le aveva
dato la vita, e fondò una nuova società tuttora quotata a Wall Street, la Marje
Ldt.
(Traduzione dal francese di Fabio Calabrese)
Ritorno graditissimo di Pierre Jean con un altro suo bel racconto.
RispondiEliminaBel racconto di clonazione....
RispondiEliminaBravissimo.
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