
Durante la primavera e l’estate
andavo a trovare Monia, la figlia minore del fattore.
Il padre è vecchio e lavora nella
stalla. La madre è semiparalizzata e lei deve badare ai lavori di casa. Ha un
fratello, un ragazzone simpatico con un nome originale: Aldighiero, sempre
occupato a studiare occultismo e folklore campagnolo.
Monia abita insieme ad altre tre
famiglie nell’ala più recente di una costruzione quattrocentesca. La parte più
vecchia dell’edificio ha inferriate panciute e due torri con grondaie
penzolanti e avvitate.
La sera del 30 giugno durante la
seconda raccolta del fieno, poiché ho avuto molto da lavorare arrivo tardi
all’appuntamento. Monia è già sulla soglia di casa e mi accoglie con un bacio
leggero sulla bocca. Mi prende per mano e mi attira dentro.
Come le altre sere rimaniamo in un
angolo della cucina a parlare dei nostri progetti futuri. Lei è una ragazza
semplice e buona, forse un poco ingenua. Se le faccio involontariamente del
male, come succede a tutti gli innamorati, provo una profonda sofferenza nel
cuore.
Più tardi Monia si sente stanca e
la lascio andare a letto. Quando viene a darmi la buona notte indossa una
camicia bianca lunga fino ai piedini nudi. I capelli sono sciolti e in mano
regge un portacandele. Si china un poco per darmi un bacino. Sento un profumo
leggero e la carezza soffice dei capelli, poi fugge via di corsa su per lo
scalone semibuio.
Così rimango nella grande cucina a
chiacchierare con il fratello. Questo ragazzo di trentanove anni, robusto,
scapolo, ha una conoscenza dell’occultismo davvero profonda. Va a prendere pile
di documenti ingialliti e mi legge i resoconti di cronache locali, talvolta
strane, talvolta incredibili.
Dalle finestre aperte sento il
frinire dei grilli. Si è fatto tardi e domani devo alzarmi presto, così
interrompo Aldighiero perché devo andare via.
Lui mi accompagna fuori sulla
grande aia silenziosa, illuminata dal plenilunio. Le cataste di pali sembrano
irte di corni e la fila di porticati sono immersi nell’ombra. Sto per andarmene
quando Aldighiero mi suggerisce di passare dietro alla sua proprietà per
arrivare a casa prima.
“Segui la scorciatoia fra i meli,
attraversi il guado sul fiume e passi vicino al dosso delle streghe.”
Questo è un monticello di terra
battuta alto cinque o sei metri, ricoperto di rovi. La leggenda afferma che è
stato costruito dalle streghe in una sola notte. In realtà si tratta di una
altura artificiale costruita a scopo di vedetta dalle truppe di Napoleone.
“Ma sei sicuro che in questa
stagione sia praticabile?” gli chiedo.
“Certo. Vieni, ti accompagno io.”
Si mette gli stivali e ci
incamminiamo dietro casa sull’erba alta bagnata di rugiada. La notte è calda,
incantevole. La luna allaga la pianura di luce bianca.
“Guarda queste vene di siccità.”
Mi indica delle striature bruciate
che attraversano il raccolto. Si china per raccogliere qualcosa:
“E qui ci sono delle penne di
gallina. Segno che qualcuno ha lanciato la malìa” lo sento borbottare.
“Ma è ridicolo! Tutto questo è
paganesimo, ignoranza, buie credenze del passato...”
“Cose del passato, dici? Non hai
idea di come la stregoneria sia praticata oggigiorno da queste parti. Le
vecchie megere raccolgono ancora la rugiada nella notte di Lammas e la notte
del solstizio. E là abita la vecchia Vertha che bolle i pentolini e nei
pleniluni è stata vista camminare sulle punte degli alberi...”
Il suo racconto è interrotto dal
grido di una civetta. Aldighiero si volta alzando gli occhi e anch’io seguo il
suo sguardo. La casa in lontananza sembra un animale in agguato, pronto a
saltarci addosso. Le due torri si elevano nere e dentellate nella luce della
luna. Dopo un attimo di silenzio il grido si ripete stridulo, lamentoso, prima
di finire in una specie di risata da far rabbrividire. Aldighiero commenta
sforzandosi di sorridere:
“La civetta canta alla nostra
destra, uno di noi è in pericolo. Se fosse stata a sinistra invece...”
Costeggiando il fiume tra le
erbacce incontriamo mucchi di sassi disposti a triangolo. Sembrano piccoli
menhir, e Aldighiero compie giri larghi per evitarli. Il fiume fa un’ansa e si
restringe. Salto in quel punto servendomi di una pertica. Poi rilancio indietro
la pertica e proseguo da solo sul sentiero.
Cammino trasognato sforzandomi di
dimenticare quelle truci superstizioni. Sento il canto dei grilli e a volte la
brezza mi porta il profumo dolce del caprifoglio. La notte è tiepida
nell’immensa quiete.
Una luce rossa si muove laggiù nei
campi. Mi fermo a guardarla. É una fiammella tremolante che procede
saltellando. Che cosa può essere? Forse è un fuoco fatuo.
La luce avanza saltellando sospesa
sul terreno, sorvola il fiume passando davanti a me e prosegue in diagonale nei
campi. Poi il chiarore rossastro scompare dietro ai gelsi. Riappare più
lontano, la intravedo fra il fogliame finché la perdo definitivamente.
Mi fermo con il cuore che batte
per l’emozione. Quando riprendo il cammino, dopo pochi passi vedo un’altra luce
provenire dalla stessa direzione. Istintivamente rimango immobile e dopo un po’
la vedo passare, questa volta molto più da vicino. Sembra una sfera gassosa di
luce rosso-giallognola sospesa nell’aria. Procede velocemente in direzione del
monte artificiale. Incuriosito provo a seguirla ma poco dopo anche questa
scompare.
Il dosso delle streghe si eleva
nero di fianco a me, coperto di erbacce e rovi. Allora vedo altre luci piccole
e grandi provenire da diverse direzioni. Si spostano tutte veloci e silenziose
a diverse altezze e convergono verso il dosso delle streghe. Le seguo con lo
sguardo e resto allibito.
Il monticciolo a tratti sembra
avvolto da un alone di luce verdognola. Mi avvicino ancora di più camminando
nella sterpaglia fin quasi alla base del monte. La luce lunare lo illumina e
vedo le asperità, i rametti contorti, la sommità brulla dove si muovono alcune
ombre...
Odo sussurri di donne e risatine
portate dalla brezza. Lentamente le ombre si alzano e incominciano a
spogliarsi. Si spogliano completamente finché restano tutte nude, immobili,
tenendosi per mano.
Vedo ragazze giovani e vecchie megere.
Nel grande silenzio i loro corpi biancheggiano sotto la luna.
Un canto lieve, monotono, proviene
dall’altura. É appena percettibile tra il fruscio delle foglie, e a volte
scompare nel vento. Dopo un po’ si fa più forte e il suo ritmo diventa più
veloce.
Adesso le donne incominciano a
muoversi e formano un girotondo. Vedo corpi di adolescenti e corpi deformi di
vecchie. A volte intravedo perfino qualche viso ghignante. Le carni sode hanno
lampi bianchi, i seni ballonzolano.
Girano piano dapprima, ripetendo
la nenia, poi aumentano il ritmo. La danza si fa sempre più frenetica, i
movimenti sempre più rapidi, il canto sempre più ossessivo... Il girotondo
diviene veloce, sgangherato...
Adesso girano invasate, sbraitando
attorno a qualcosa che sta nel centro. Improvvisamente qualcuna grida un nome.
Il canto cessa di colpo. Il girotondo finisce. Le streghe cadono a terra con
una esclamazione di stupore.
Il silenzio diviene assoluto. Non
vedo più nessuno. Lo stupore e il senso di attesa si vanno a poco a poco attenuando
e posso pensare di aver sognato ogni cosa. Sono tutto sudato. Guardo la
campagna che si stende sotto la luna e provo un grande senso di quiete.
Eppure qualcosa ancora si muove
lassù sul dosso. Sembra un esile filo di fumo che lentamente sorge dalla
sommità del monte. É una ragazza nuda. Una pallida Dea della notte con le
braccia tese.
Quando alza la testa i capelli si
scostano e riconosco il viso di Monia che mi guarda con i suoi grandi occhi
tristi.
(Per gentile concessione dell’Autore)
Avvincente, interessante, ben scritto.
RispondiEliminaMi sono particolarmente piaciute l'ambientazione e la caratterizzazione dei personaggi.
RispondiEliminaScritto in maniera molto scorrevole e incisiva. Gradevole!
Giuseppe Novellino