mercoledì 30 marzo 2016

PRIMA NECESSITA' di Carlos M. Federici

Quando il Magro entrò, ero ormai giunto al limite della mia capacità di sopporta­zione, e riflettevo sulla possibilità di ricorrere a drastici rimedi. Avevo persino afferrato le tenaglie da meccanico che mi aveva prestato Willogh, e stavo soppesando i pro e i contro. Non so che cosa sarebbe potuto accadere di lì a poco; però, fortunatamente, fu in quel preciso momento che il Magro sopraggiunse, recandomi notizie.
Mi avventai quasi addosso a lui.
—Allora?...
II suo sorriso mi rinfrancò.
—Tutto a posto, capo —mi disse—. Il G.P.N. è già localizzato. Può star tranquillo.
Lo invitai a sedersi sopra una grande cassa che era lì, e mi piazzai di fronte a lui.
—Sono in parecchi? —gli domandai.
—Be’... —rispose, dopo aver riflettuto per qualche istante—. Sono abbastanza, però hanno tre paralitici e un cieco. Secondo me dovremmo farcela, soprattutto se riusciamo a coglierli di sorpresa. Si vede lontano un miglio che sono gente inesperta, e che non si aspettano nulla del genere.
—Ce la faremo! —esclamai. “Dobbiamo farcela...”, aggiunsi tra me—. Dimmi un po’, Magro, che si sa del G.P.N.? È un uomo o una donna?
Lui si grattó un’ascella sotto la pelle di cane che indossava, poi rispose:
—Qui proprio non so che dirle. L’informazione me l’ha passata Sammy, e su questo punto non s’è pronunciato.
Comunque spero che sia un uomo replicai. Altrimenti la faccenda sarà molto più complicata... Va bene, Magro, vammi a chiamare gli altri ordinai infine.
Tempo un minuto, tutti i rappresentanti maschi del gruppo s’erano riuniti lì, sistemandosi alla meno peggio in mezzo ai rottami, e mi guardavano allo stesso modo di un cane che contem­pla il suo padrone. Sapevano già di che si trattava, e poi tre o quattro di loro erano disperati quanto me. “Tanto meglio!”, pensai. “Così non si fermeranno di fronte a nulla.”
Allora, ragazzi incominciai—. Il G.P.N. è stato localizzato. Il Magro, qui, vi dirà tutto quello che sappiamo. Dai, Ma­gro.
Lui si fece avanti ostentando una cert’aria d’importanza suppongo che non riesca a dimenticare i bei tempi quando faceva il sindacalista ed era abituato a parlare in pubblico, e appoggiatosi al randello assunse un atteggiamento che dovette sembrargli sommamente dignitoso... e che probabilmente al­meno un po’ doveva esserlo; certo che se la sarebbe cavata molto meglio, se la testa pelata e le cicatrici non avessero nociuto all’effetto generale.
A quanto mi ha comunicato Sammy, dovrebbero essere una trentina esordì. Si trovano al Metropolitan Museum. Ovviamente, sono ben protetti. Le strade intorno risultano tutte ostruite dalle macerie. Però noi ci apriremo un passaggio declamò, levando l’indice in gesto audace—, grazie al nostro sforzo comune e al nostro spirito di corpo, e tutt’insieme sapremo giungere al culmine del...
Basta cosí, Magro lo interruppi. Non siamo a un’assemblea. Faremo meglio ad iniziare i preparativi per l'attacco.
E subito ci mettemmo all’opera. II nostro gruppo è pratico di simili scontri, anche se come capo non dovrei dirlo, ed in pochi minuti avevamo già abbozzato un piano d’azione.
Non aspetteremo la notte annunziai. È ciò che fanno tutti, e quindi è un sistema con cui non è più possibile sorpren­dere nessuno. Noi, invece, gli piomberemo addosso proprio sul mezzogiorno...  Ignorai il mormorio che si levò immediata­mente dagli uomini, e proseguii: Nel pieno del caldo, la maggior parte starà riposando, e le sentinelle non si aspetteranno niente di più pericoloso della puntura di una zanzara. Quello sarà il momento giusto per dargliele di santa ragione.
Aspetta! obiettò Doc, fissandomi attraverso la montatura senza lenti che si ostinava a portare davanti agli occhi, a dispetto di lutto e di tutti... sebbene non s'accordasse granchè col mantello di visone che lui indossava sopra la biancheria a brandelli. Se procediamo così alio scoperto ci vedranno subito, e per loro sarà facile tenderci un’imboscata. Matt, devi essere impazzito! Come vuole la logica, dobbiamo andarci di notte.
Sta’ zitto, Doc, non far vedere a tutti quanto ti s’è atrofizzato il cervello! Chi ha parlarto di procedere allo scoperto? Ci muoveremo al riparo delle macerie, idiota. Prima li circonderemo, poi uno o due di noi si faranno vedere, e quando quelli cercheranno di catturarli, noialtri gli piomberemo addosso da ogni lato. Ti dico che è il sistema migliore!
—Matt ha ragione! —gridó Bull.
Bull mi appoggia sempre. Anche lui, come me, è stato peso medio, e le uniche credenziali che riconosce sono dei buoni pugni. Quando avevo preso il comando, fra tutt’e due non avevamo avuto difficoltà a liquidare i pochi oppositori... e adesso lo vedevo pronto ad impiegare metodi analoghi contro chiunque non si mostrasse d’accordo. Ma non era il momento adatto: avevamo bisogno che tutti gli uomini fossero in perfetta forma. Lo feci capire a Bull, dopo di che andai avanti usando il ragionamento.
—Tutte le loro difese sono state approntate in vista di attacchi notturni —spiegai pazientemente—. Quindi un attacco in pieno giorno li coglierà di sorpresa.
—E come fai a sapere che troveremo dove nasconderci? —tornó ad intromettersi quel rompiscatole di Doc.
—Non ti preoccupare. Qualche giorno fa, io e il Magro abbiamo esplorato insieme a Durkey i dintorni di Central Park. Ci sono da ogni parte montagne di detriti. Alberi caduti, fogliame...; un po’ di tutto. Quanto al Metropolitan, nel muro di dietro ha un buco grosso come un elefante. Se fosse necessario potremmo infilarci di là... Non è vero, Magro? Se li becchiamo nel salone principale, sono fritti.
Ci furono ancora le obiezioni di qualche testardo, ma alla fine riuscimmo a convin­cere tutti. Quindi passammo a prepara­re con cura l’armamento. Lustrammo i nostri randelli e fissammo nuove strisce di cuoio sulle punte. Ci calzammo nel miglior modo possibile (io avevo un paio di stivaletti di vernice dissotterrati tra le rovine di un negozio, mi pare che fosse Macy’s), e chi poteva si mise una protezione sulla testa. Anch’io avrei voluto ripararmela, specialmente la metà calva, ma avevo perduto il mio elmetto da pompiere giorni prima durante un tentativo di attraversare il Ponte di Brooklyn, appeso a quel che restava dei cavi tranciati. Ordinammo inoltre alle donne d’incominciare a preparare acqua calda e stracci per le medicazioni, perchè bisognava esser pronti a curare quelli che potessero averne bi­sogno: ovviamente, non c’illu­devamo di uscirne indenni. Io, comunque, mi tenni a disposizione due donne per un altro lavoro; m’era infatti venuto in mente qualcosa che avrebbe dato il tocco finale, da maestro, al nostro piano di battaglia. Rimaneva infine la questione più importante: bisognava perquisire accuratamente ogni membro del gruppo, per verificare che nessuno nascondesse indosso delle armi. Solo un mese prima, nel corso d’una zuffa era venuto fuori un pugnale, e c’era scappato il morto. E queste son cose che bisogna evitare ad ogni costo. Siamo rimasti troppo pochi, a Manhattan, perchè ci si possa per-mettere il lusso di liquidarci a quel modo. Prendersi a bastonate va bene: è la legge dei gruppi, e purtroppo è l’unico modo d’intendersi. Ma niente colpi d’arma da fuoco, e neppure coltellate. Chiunque infranga questa legge fondamentale è condannato ad un ostracismo rigoroso, il peggiore dei castighi. Un uomo solo non dura a lungo, di questi tempi: se non muore di fame ci pensano i topi o i cani selvaggi, oppure finisce schiacciato sotto qualche crollo ritardatario... È una legge molto dura, però non c’è dubbio che è l’unico modo per evitare i colpi proibiti duran­te i combattimenti fra gruppi rivali.
Finalmente fummo pronti a partire. “Proprio una bella truppa!”, mi dissi tristemente, pensando allo Golfo e guardando l’aspetto dei miei uomini, coperti di lividi e cicatrici e mascherati come per un carnevale. Pero sapevano picchiar forte, e questo era l’importante. Ci mettemmo in marcia, avanzando carponi dietro i mucchi di mattoni, calcina, cemento e putrelle contorte che un tempo..., quanti anni prima?... avevano avuto il nome elegante di Rockefeller Center.
Impossibile procedere per la Quinta Strada: neppure con una gru saremmo riusciti ad aprirci un passaggio. Madison, al contrario, essendo anche troppo sgombra, non faceva al caso nostro: c’é sempre qualche vedetta che gironzola da quelle parti. Imboccammo il Viale delle Americhe, tagliando per le stradine laterali ogni qual volta gli ostacoli si facevano troppo grandi perchè si potesse superarli. All’altezza della Cinquantasette-sima Strada fummo arrestati dal buco più grande che avessi mai visto.
—Alt! —ordinai levando una mano—. C’è una tana di mammut.
È così che chiamiamo i crateri scavati dalle bombe, dato che il classico nome di “tana di volpe” risulterebbe inadeguato... Chi ha mai sentito parlare di volpi di novan­totto metri? La tana di mammut era inondata. Si sarebbe potuto attraversarla sopra i tavoloni che galleggiavano nell’acqua fangosa, ma avrebbe si­gnifícato esporsi troppo. Quindi preferii aggirare le macerie fino a Columbus: questa manovra ci allontanò, ma era meglio esser prudenti.
Entrammo nel parco per la Sessantaseiesima, e ci aprimmo poi la strada a colpi di randello attraverso quella che si poteva definire una foresta vera e propria. Ormai era quasi mezzogiorno, e il caldo incominciava a farsi sentire. Il sudore c’incollava al corpo le pellicce, ed un profumo non molto floreale prese a diffondersi attorno a noi.
—Porcaccia miseria! —brontolò Curls, grattandosi la villosa protuberanza dell’ad­do­me—. Stai a vedere che quelli ci scoprono all’odore... Dovremmo fare un bagno, almeno una volta all’anno!
Alcuni risero, ma a me non riuscì. In compenso, mi carezzai la guancia.
—Dobbiamo portargli via il G.P.N.  —ricordai, e le mie dita si strinsero attorno al randello.
—State zitti, animali!  —borbottó Bull incavolato—. Ci sentiranno!
Attraversammo quello che era stato il giardino zoologico, trasformato ora in una foresta di sbarre ridolte in polliglia e corpi di animali in decomposizione. Due gatti pelle e ossa, che banchettavano sopra i resti di un quadrupede irriconoscibile, fuggirono precipitosamenle, col pelo irto ed i gialli occhi impazziti. Non potei fare a meno di rabbrividire, di fronte alla visione d’incubo dei due felini, e mi domandai quale aspetto potessi avere io stesso, con una barba di sei settimane su un solo lato del viso, una guancia gonfia e una metà della testa liscia come un uovo; per completare il quadro, indossavo un paio di mutandoni da donna e brandivo un randello...
Usciti dallo zoo corremmo a ripararci sotto un tronco gigan­tesco. La fortuna sembra­va esser dalla nostra: rami e foglie formavano un fitto sipario davanti a noi, cosicché potevamo avvicinarci abbastanza senza esser visti.
Finalmente scorgemmo la punta dell’obelisco di Cleopatra. Per ironia della sorte era rimasto in piedi, mentre l’Empire, il Chrisler e la Cattedrale di San Patrizio, più giovani di secoli, mordevano l’asfalto. A fianco dell’obelisco, il vecchio Metro­politan Museum ostentava le ferite sanguinose inferte alie sue strutture murarie.
—Bene —annunziai—. Ora tocca ai volontari.
Silenzio. Tutti parevano intenti a guardare altrove.
—Ci penso io a convincertene un paio, Matt —propose Bull stringendo i suoi pugni enormi. Ma io scossi la testa.
—Basteremo noi due, Bull. Voialtri resterete agli ordini del Magro. Dovete circon­dare la zona, e quando mi vedete indicare l’obelisco, attaccate.
Qualcuno protestò ancora, ma alla fine si lasciò convincere.
Io e Bull ci caricammo addosso delle pelli di vacca riempite di carta (era quello il compito che prima avevo assegnato alie donne) e c’incamminammo senza esitare verso il museo in rovina.
Non passò molto che ci venne gridato di fermarci.
—Vogliamo unirci al vostro gruppo! —berciai—. Portiamo cibo!
Abracadabra. Le pelli di vacca riempite sembravano, di lontano, un animale morto, e quella gente era tanto affamata che non fiutò l’inganno. Esitarono un poco, ma poi emersero uno dopo l’altro dal loro nascondiglio e ci si fecero attorno, leccandosi già le labbra in previsione.
—Da dove venite? —ci chiese un gigante dalla folla barba bionda che senza dubbio era il loro capo. Indossava un mantello dal collo alto ed un paio di ridicoli bermuda.
—Dalla campagna —risposi.
—Come mai non vi abbiamo visto avvicinarvi?
—Perché siamo venuti attraverso il parco, da quella par­te... —dissi, e indicai l’obelisco.
La mia era una truppa disciplinata: in pochi secondi ci furono addosso. La sorpresa fu totale. II rumore delle teste bastonate era musica per le mie orecchie. In mezzo a quella gragnuola di randellate cercai con gli occhi il G.P.N., e non mi fu difficile localizzarlo. Per fortuna si trattava di un uomo. II suo atteggiamento era quello solito: assisteva alla lotta con aria un poco assente, come se lo riguardasse solo indirettamente. Aveva nel contegno qualcosa dell’appassionato, dello spettatore di un incontro di rugby: l’interessato sapeva che, qualunque fosse il risultato, luí avrebbe continuato a passarsela egregiamente, quindi non gl’importava un granchè quale gruppo lo avrebbe adottato. E poi si vedeva bene che era abituato a passar frequentemente di mano in mano. Appog­giato sui gomiti al davanzale di una finestra, ci osservava condiscendente coi suoi piccoli occhi astuti.
Finalmente il biondo alzò una mano.
—Va... va bene... —ansimò, tamponandosi il sangue che gli colava dal naso non più prominente, ora, ma schiacciato—. Avete... vinto voi... Ma che... diavolo... volete?
—Ve la caverete a buon mercato —risposi—. Noi prendiamo il G.P.N., e voi potete tenervi tutto il resto.
Mi lanciò coi suoi occhi grigi uno sguardo supplichevole, ma non mi lasciai intenerire. In primo luogo, nel gruppo eravamo tutti d’accordo, e poi... Ripensai, con un brivido, alie tenaglie del meccanico.
Se ne andarono. L’uomo alla finestra, comprendendo, di­scese lentamente per venir­ci incontro. Era piuttosto basso, cal­vo, e aveva nei suoi modi un’insultante aria di superiorità. Indossava un vestito abbastanza decente, benchè proprio nel didietro spiccasse un rattoppo di color vermiglio. Notai, con indicibile sollievo, che portava sotto il braccio una borsetta nera.
—Mi piace il pesce —dichiaró a bruciapelo.
—Va bene —risposi.
—E dormire sopra un materasso morbido, se non le dispiace.
—Va bene... lo avrà.
—E, naturalmente, un buon alloggio —azzardò.
—E anche fuoco, e donne, e tutto quello che vorrá —assicurai.
Si passò la lingua sulle labbra sottili.
—Donne... con i capelli?
—Ce ne rimangono nove... due bionde —e mi morsi la lingua pensando a Lydia.
—Molto bene. Vengo con voi.
In un attimo i miei uomini lo circondarono, ma io mi feci strada a forza di spintoni ben piazzati.
—Indietro, maiali! —gridai.
Afferrai l’ometto per un braccio e lo trascinai via, ignorando il coro di proteste gutturali che subito si levò. Penetrai, insieme al Genere di Prima Necessità, all’interno del museo, lasciandomi poi cadere sul primo sedile che mi capitò.
Impaziente, bramoso, lo guardai.
—Prima io, dottore! —gli dissi con voce supplichevole—. Questo maledetto molare mi sta facendo impazzire!
E spalancai la bocca che più grande non potevo.

 


 

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