lunedì 21 marzo 2016

IN INTERIORE HOMINE HABITAT VERITAS di Giuseppe C. Budetta

Ho aggiunto queste pagine iniziali al manoscritto che sto completando. Non so se ce la farò a sopravvivere alle ulteriori operazioni chirurgiche e conseguenti drastiche cure. Tutto dipende dalle metastasi in atto che mi stanno invadendo il vecchio corpo. La mia esistenza comunque cambia in modo radicale. Si tratta di esistenza crepuscolare che non vedrà mai più una fresca e vera alba albeggiante.
Voglio solo capire altri tipi di misteri. Non vivo per me, ma per qualcos’altro. Mi arrampico sui rami di un albero alquanto diverso. Don Vito buonanima diceva che quella ragazza fatale, quella Elisa Miranda, era per lui il simbolo della morte. Me lo aveva confidato e non aveva tutti i torti. Per questo, l’amava fino alla disperazione. Quella ragazza per lui era l’apparizione sulla Terra di una entità assoluta ed unica, come la Morte. La Morte ha un suo fascino irresistibile, così per lui quella giovane. Lei come Venere, artefice della morte improvvisa che può cogliere chiunque ed a qualsiasi età: Ictus cerebrale, arresto cardiaco, o semplicemente un attentato terroristico.
Presso i Romani ed i Germani come tra i popoli indo-americani, la Morte fa parte integrante del destino umano, ma solo in seguito al gesto sconsiderato di una donna. Nell’ebraismo, a causa di Eva, l’Uomo fu condannato a dover morire in questo mondo.        
Breve riassunto della mia problematica esistenza, per sommi capi.
Il fatto è che io non conto un niente, ma per davvero. Non sono mai stato un individuo pronto alla lotta. Per me, il sessantotto non ha mai avuto un particolare significato e neanche gli altri tentativi di rivoluzione post-sessantottina. Figuriamoci adesso con i fatti da raccontare alla magistratura ed inerenti la morte di don Vito. Che me ne importa infine? Se dovessi sopravvivere all’operazione in Germania, confesserò tutto quello che so sulla vicenda Orefice. Dirò agl’inquirenti la verità. Per adesso, taccio come nei patti con la signorina Elisa Miranda. Taccio perché devo sopravvivere al male che mi distrugge il corpo. Una volta salvato dal cancro, dirò tutto e voglio vedere come la faccenda va a finire. Ho avuto sempre paura di dover vivere secondo la morale corrente, perché se fossi vissuto in osservanza ad una mia genuina direttiva morale, non ben accettata dalla gente, sorretta dalla piena consapevolezza, avrei dovuto combattere ogni tipo d’ingiustizia. Diciamocelo pure, avrei dovuto agire per il bene comune in ogni mio atto, parlando con la voce del cuore. Avrei dovuto scegliere di aiutare e difendere i deboli, procedere sempre per la retta via, senza temere mai  chi ti sbarra la strada. Avrei dovuto allenarmi fin nella gioventù a fare tutte queste scelte morali. Mi avrebbero preso in giro? Non avrebbe dovuto importarmi. Anche se non fossi stato un giusto al cento per cento come per esempio sant’Agostino, avrei camminato diritto, seguendo la voce interiore:
 in interiore homine habitat veritas.
Camminare con passo fermo e con sguardo sicuro. Sembra facile.
Quando fui un modesto e squattrinato studente universitario, speravo nella giustizia umana ed in un futuro meno nero. La giustizia in cui ponevo le speranze era quella del mondo occidentale, una zona della Terra altamente industrializzata che se ne infischiava di quelli del Terzo e del Quarto mondo. Nonostante fosse (pensavo) una giustizia relativa a questo tipo di civiltà evoluta, sempre giustizia era. Se non altro, serviva ad evitare di sbranarci.
Ripetutamente, mi sono riproposto di procedere diritto, seguendo determinati valori. Fare ciò è da eroe e non è per me, condannato alla mediocrità. Sono stato uno che sognava cose grandi fin dai primi anni della vita. Sono stato uno che si pasceva di sogni e che svegliato dal dormiveglia, mi attardavo ad alzarmi presto, svincolandomi dalla onirica rappresentazione. Uno che non avrebbe mai avuto la forza di vincersi. Adesso, accetto il castigo. Adesso, ne pago le conseguenze. C’è una forza intrinseca nelle cose del mondo che spinge a colpire prima o poi chi ha oppresso gli altri. Una volta era Nemesis, la dea della vendetta che non temeva neanche i potenti della Terra. Adesso, è la stessa forza invincibile che non si sa come chiamarla. Scienziati e filosofi contemporanei dicono che l’universo di per sé è in grado di generare la coscienza umana. E’ l’universo dunque, permeato da una forza invisibile a generare gli dei onnipotenti, come Nemesis. 
Ho il cancro e non penso che ce la farò. Perderò anche quest’ultima battaglia con la solita rassegnazione. Potrei fare diversamente? Si vive tra speranze in parte accantonate. Si vive nutrendosi di falsi ed illusori miti. Si vive compiendo ingiustizie giornaliere, piccole e grandi.  Per calmare la coscienza, uno dice: ovunque c’è violenza palese, oppure occulta.
Sono stato uno che spesso si è lamentato della vita, sena volerla cambiare davvero. Sotto sotto, mi sono adagiato nel posticino in banca ottenuto per meriti politici e non per capacità intellettive. Ho usato quel posto per ingrandire il mio potere a livello locale. Ecco la mia colpa. Può essere stato che non tutto fosse dipeso da me. Ostacoli troppo grossi, come macigni, sarebbero stati eretti lungo la mia strada bianca. Troppe muraglie e castelli con nuovi privilegi, dovuti alla gran massa di soldi, si elevano superbi lungo la via di ciascuno. Che fare? Uno si adegua, ecco tutto. Sono una bestia dunque? Forse sono come un albero, fisso nella staticità di una situazione in apparenza mutevole.
Ecco l’abat-jour cinese che tengo sulla consolle, accanto al letto. E’ un lume da notte che se acceso, svela il suo segreto. Di giorno, mostra l’immagine di una dea velata che sorvola su prati fioriti, come un’allodola. Di sera, quando accendo la lampadina per addormentarmi, l’abat-jour cinese, attraverso il paralume di porcellana, fa emergere la nuova immagine: la dea è una meravigliosa donna nuda sollevata in aria dalle braccia di un maschio virile, anch’egli nudo. Si capisce che la donna e l’uomo nudo stanno per fare l’amore. Comprai l’abat-jour da una bancarella a Napoli, dalle parti della Duchesca. Non nascondo che quella duplice immagine mi ha da sempre incuriosito. La dea pudica e vestita che vola su un prato fiorito e la donna bella e nuda che abbraccia un valido giovane, anch’egli nudo, mi rasserenano l’animo e mi fanno prendere sonno prima. Due realtà che si fondono in una, se l’abat-jour è acceso di notte. 
La mia, una vita come tante altre. Qualcosa cambiò, intendo nel profondo, quando vidi in cielo quella strana apparizione. Un fenomeno che secondo alcuni è ascrivibile alla categoria degli UFO. Qualcosa cambiò nel mio profondo, ma senza che me ne accorgessi all’inizio. Cominciai ad avere dubbi su consolidate certezze. Da allora, è stato come due entità avverse e separate siano cresciute in prati diversi. Da un lato ero la persona ben vista dalla gente ed inserita nella società. Un direttore di banca, in apparenza onesto, ma affamato da sempre di denaro. L’altro me stesso cominciava ad essere problematico, lottando contro la maschera che mi ero tessuto addosso. L’altro me viveva di vita vegetativa e come un bruco, erodeva l’involucro costruitomi addosso.  Questo altro me rifletteva sempre più intensamente sugli enigmi dell’esistenza e su ciò che può celarsi oltre la comune apparenza.
Al presente, il corpo diviene sempre più, di giorno in giorno, un peso da dover spostare da un punto all’altro dello spazio. Ci sono momenti che alzarmi ed andarmi a sedere alla scrivania è uno sforzo non indifferente. La vecchiaia dicono. La malattia, mi dicono altri. C’è un tempo della tua vita in cui tutto viene meno. Tutto è pesante come un macigno e pesa anche sul flebile destino. La vita allora appare come una serie di parametri medici da rispettare: la colesterolemia, la concentrazione linfocitaria, la pressione sanguigna e via di seguito. Tu stai in bilico su un congegno che pochi anni prima ignoravi ed adesso scricchiola. Inevitabilmente scricchiola sotto i tuoi piedi.  
 

 

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