“Hai provato con le FAQ? Se non riesci ad
ottenere la risposta che vuoi, entra nel Forum e invia una mail all’indirizzo
dell’azienda!”, sbottò il ragazzino. Emise uno stanco sospiro, carico di
impazienza: insegnare ad un adulto ad usare il computer era un compito di una
difficoltà incredibile, quasi impossibile.
La criniera rosso scuro della madre si mosse in un
cenno di diniego. “Come faccio ad entrare nel Forum?”, chiese, la voce resa
stridula dalla consapevolezza della propria incompetenza informatica.
“Sei un caso disperato”, dichiarò Matthew. Si
impossessò del mouse e cliccò sull’icona del Forum, grande quanto una
mongolfiera su un campo di football. Eppure la mamma non l’aveva nemmeno vista,
come se fosse un singolo pixel.
Lo schermo era
completamente nero, più buio della notte profonda, e Matthew era a scuola.
Annabelle Larson non sapeva cosa fare: a volte pensava di essere
elettronico-fobica, o comunque di poter vantare una totale assenza di neuroni
deputati alla comprensione di strumenti elettronici e affini. Riusciva a
complicare anche le situazioni più semplici, a sbagliare o saltare i passaggi
essenziali, a dimenticare le istruzioni udite un paio di minuti prima;
trascinare con il mouse per lei costituiva una fatica immane, e la sola ricerca
del giusto file le costava uno sforzo assolutamente inappropriato alla
circostanza. Insomma, era un’incapace: persino con il cellulare aveva
difficoltà ad andare d’accordo.
Quando guardò con maggiore attenzione il monitor, vide
comparire un logo fluttuante, con il nome del figlio a lettere cubitali, color
giallo canarino. Sobbalzò, presa da uno spavento tanto improvviso quanto
insensato. Pur temendo di combinare qualche pasticcio, provò a cliccare sul
mouse. La bocca le si allargò in un sorriso compiaciuto: era comparsa la
schermata iniziale, con tutte le icone al posto giusto. Riprese la ricerca del
documento, che aveva interrotto per controllare la cottura del pollo al forno,
e si ripromise di chiedere a Matthew una delucidazione riguardo allo strano
fenomeno che aveva osservato.
“Cosa hai combinato?”. Robert Larson non era propenso
a perdonare alla moglie i tentativi andati a vuoto di orientarsi nel dedalo di
files che popolavano la memoria del suo PC. Non quando si concretizzavano nella
cancellazione involontaria di dati di cui aveva bisogno, in ogni caso.
“Non ne ho idea”, confessò la donna, in tono quanto
mai sincero.
“Vediamo se riesco a rimediare ai pasticci della
mamma”, si intromise Matthew. Era ormai rassegnato a trascorrere le serate a
fare da istruttore alla donna maldestra e pasticciona che l’aveva partorito
undici anni prima. E, anche se non era proprio la sua occupazione preferita,
rimetteva il computer in piena efficienza senza pronunciare una sola parola di protesta.
***
“Questo è il giorno più bello della mia
vita!”, esclamò Matthew, un attimo prima di raccogliere il fiato necessario a
spegnere le dodici candeline disposte a cerchio sulla torta. La glassa color
della neve che la ricopriva aveva l’aspetto di una vera squisitezza; tutti i
suoi amici erano ammassati intorno al tavolo, con in testa buffi cappellini e
in bocca trombette dal suono acuto, e applaudivano freneticamente, neanche
fossero stati invitati da una star del rock. Alyssa gli sorrideva, con
un’espressione estatica stampata sul volto, dal lato opposto del tavolo,
esibendo il suo splendido corpo da dodicenne avvolto in un corto vestitino
fucsia. La sua prima, vera ragazza: una bellezza bionda da mozzare il fiato,
che i compagni di classe gli invidiavano e la mamma adorava.
Annabelle, infatti,
osservava con sguardo amorevole la fidanzatina del figlio, gli amici riuniti
per festeggiarlo, la torta che aveva preparato per l’occasione, i robot super
colorati che aveva ingaggiato per animare la festa di compleanno; con
comprensibile orgoglio, invece, sbirciava, di tanto in tanto, uno dei regali
destinati a Matthew: un biglietto di compleanno commissionato ad un sito
specializzato, che aveva ideato, realizzato e stampato lei stessa. In quindici
copie, per dimostrare al marito e agli amici di non essere più una perfetta
imbecille informatica.
Mentre i ragazzi,
guidati da uno degli animatori, si rincorrevano impugnando dei laser
giocattolo, Alyssa si avvicinò all’unica persona adulta presente. “Complimenti
per la torta, signora Larson: era ottima”, asserì.
Era sempre tanto
compita e beneducata che Annabelle l’avrebbe adottata, se avesse potuto.
“Grazie, cara”, le rispose, in tono allegro. “Ti stai divertendo?”:
“Certo, e molto”.
La banale
conversazione, tipico scambio di battute tra un adulto e un ragazzo, venne
bruscamente interrotta dall’arrivo di Robert Larson, che gratificò la moglie di
un bacio appena accennato su una guancia.
Alyssa, dopo averlo
salutato con cortesia, si affrettò ad allontanarsi. Raccolse un laser caduto
sull’erba bassa,
e
cominciò ad inseguire un compagno di classe, brandendo l’arma senza grinta né
convinzione.
Il gioco ebbe termine
con la cattura di alcuni prigionieri da parte della squadra del festeggiato, il
quale li sottopose, per punire la loro incapacità guerresca, ad una terribile
tortura: il solletico.
Robert e Annabelle si
unirono alle risate squillanti dei ragazzi, lieti che la festa fosse stata un
successo.
Quella sera, a cena,
Matthew, rivolgendosi alla madre, sbottò “Ho ricevuto da te i due regali più
belli della giornata”. Lo sguardo carico di stupore della donna gli strappò un
sorriso divertito. “Parlo della festa e del biglietto d’auguri”, spiegò. “Ha
fatto tutto da sola”, proseguì, volgendo il viso verso il padre. “E credo che
non abbia più bisogno di lezioni di informatica”.
Annabelle scompigliò
i capelli del figlio con una carezza affettuosa. “Tutto merito
dell’insegnante”, affermò.
***
“Questo è il giorno
più brutto della mia vita”, esalò Matthew, con un filo di voce. Aveva esaurito
le lacrime: il dolore aveva scavato un solco profondo nel suo cuore di
adolescente. Fissò lo sguardo cupo in quello ancora più cupo del padre, e lo
sfidò “Io vado di sopra, nella mia camera. Se gli ospiti che si stanno
rimpinzando di dolci vogliono vedermi, che vengano a cercarmi: non resterò qui
un minuto di più”.
Robert lo guardò
correre su per le scale, situate in una nicchia dell’ampio soggiorno, ed emise
un sospiro sconsolato. Era d’accordo con il figlio, ma non poteva esimersi dal
rimanere inchiodato al pavimento, distribuendo strette di mano e ricevendo
pacche sulla spalla. Come se la perdita di Annabelle potesse essere compensata
da una parvenza di contatto umano e da un banchetto di proporzioni colossali,
offerto da solleciti vicini e parenti che non vedeva da anni.
“Povero ragazzo”,
disse una vecchia zia, raggrinzita dagli anni, che ostentava una parure di
brillanti sull’abito da lutto disegnato da un famoso stilista. “Cosa farà,
senza la madre?”.
“Si accontenterà del
padre”, borbottò Robert, a mezza voce. Strinse i pugni, maledicendo il pirata
della strada che aveva cancellato dalla sua vita sia la moglie che la gioia di
vivere, e si avviò a passo cadenzato verso la cucina. Accanto al tavolo ricolmo
di ogni ben di Dio, vide Alyssa, che sbocconcellava svogliatamente una fetta di
torta di mele. “Va’ da lui”, la pregò.
La ragazza gli
rivolse un sorriso mesto, depose in tutta fretta il piattino di carta e si
avviò in direzione della porta che dava nel soggiorno. Arrivata davanti alla
camera di Matthew, bussò con delicatezza. Quando ebbe ottenuto in risposta un
grugnito inintelligibile, si decise ad entrare.
Il ragazzo giaceva
sul letto sfatto, a faccia in giù nel cuscino. “Vattene!”, ordinò, senza la
convinzione che avrebbe fatto capire alla fidanzatina che aveva davvero
intenzione di escluderla dal suo dolore.
“Non posso: tuo padre
mi ha chiesto di salire”.
“E tu non puoi fare
a meno
di obbedirgli, vero?
Sei troppo perfetta!”.
“Io, perfetta? Vuoi
scherzare?”. Nonostante si fosse schermita, Alyssa sapeva di essere diversa
dalle altre ragazze: obbediente, beneducata, gentile, sincera. Costituiva la
risposta alle preghiere di ogni madre.
“Anche la mamma ne
era convinta”, proseguì Matthew, in tono accorato. “Mi ripeteva sempre che non
avrei potuto trovare una fidanzata più dolce di te”.
Sedendo sul letto,
accanto al ragazzo, Alyssa fece il gesto di scompigliargli i capelli. Venne
bloccata da una mano ferma che le agguantò il polso.
“Non farlo: mi
ricorda troppo la mamma. E non voglio ricominciare a piangere”.
“Perché non accendi
il computer? Potremmo giocare a pinball, l’uno contro l’altro”; propose la
ragazza. “Forse riusciresti a distrarti”.
Matthew si drizzò a
sedere. “Buona idea”, convenne. Accese il PC, ma non cliccò immediatamente sui
giochi. “Prima vediamo se c’è posta per me”. Aprì l’Outlook Express, scelse il
bottone ‘connesso’ e attese i pochi secondi necessari affinché il computer
effettuasse l’operazione. La cassettina verde lo avvertì che stava ricevendo un
messaggio, ma nessun mittente apparve accanto alla minuscola busta. Si voltò
verso Alyssa, in cerca di un consiglio spassionato. “Cosa faccio, apro
ugualmente?”.
“E se ci fosse
qualche virus?”, gli rilanciò la ragazza.
“Il programma di
protezione ha funzionato fino ad oggi: non ho nulla di cui preoccuparmi”. La
curiosità era una molla più potente del pericolo che il suo software avrebbe
potuto correre.
“La decisione spetta a te: il computer è
tuo”.
“O.K.”. Cliccò sul
messaggio anonimo, strinse forte gli occhi, poi li sbarrò di scatto. “Vorrei
sapere chi è quell’idiota che fa questi scherzi!”, sbottò.
Alyssa si sporse
dietro le sue spalle e lesse ‘Non darti pena per me: sono in un posto stupendo.
Ti amo tanto. Mamma’. Rispettando lo sgomento del ragazzo, preferì non commentare
il messaggio.
Matthew cercò il
conforto di cui aveva un disperato bisogno tra le braccia della fidanzatina. La
strinse brevemente, con forza, poi rivolse di nuovo lo sguardo allo schermo. Un
altro messaggio, anch’esso senza mittente, aveva fatto la sua comparsa.
Lo lessero insieme,
intenzionati a cercare il colpevole, l’essere abietto che non rispettava
nemmeno il più atroce dei dolori. ‘Non è uno scherzo, tesoro. Posso comunicare
con te attraverso il computer: è sufficiente che pensi intensamente cosa voglio
dirti e il messaggio compare nella posta destinata a te. Anche se non posso
vederti, riesco ad indovinare i tuoi pensieri. Alyssa è lì con te, vero? Sento
la sua presenza: è come se una nuvola di positività avvolgesse la tua mente.
Sarò con te ogni volta che lo vorrai, in modo che non ti senta mai solo. Ma non
dirlo a tuo padre: non capirebbe. Sarà il nostro piccolo segreto. Mamma’.
Una lacrima solcò la
guancia pallida del ragazzo, seguita a ruota dalla sua gemella. Posò la mano
sullo schermo, accarezzando le parole appena lette. “Mamma”, sospirò. “Provami
che sei davvero tu...”. Si interruppe, tirando su col naso, e passò
il dorso della mano
sugli occhi.
Un terzo messaggio si
materializzò all’istante. ‘Ricordi quando ti prendevo in giro per la tua
passione per il computer? Dicevo che prima o poi sarebbe divenuto la tua vera
religione. In nome del file...’.
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