Da bambino guardavo
incantato le notti stellate, avevo sempre sognato di andare lassù, da qualche
parte del cosmo. Ed ora il sogno si era avverato, ma guardavo le mie mani
rinsecchite, sentivo su di me il peso di anni indecifrabili. Perché? E dove, da
qualche parte, c’era qualcuno con cui poter parlare, magari di quelli che avevo
conosciuti… sapevo che erano pensieri sciocchi ed inutili.
Stavo lì, dentro quel globo
trasparente a guardare un diverso cielo, ad osservare le due lune che
splendevano a distanza, una rossa, l’altra bluastra. Stavo lì, in compagnia di
quelli che avevano viaggiato con me: avevo messo i loro cadaveri nelle urne
criogeniche se mai qualcuno fosse venuto ed avesse cercato di capire. E di
capire pure come mai solo io fossi rimasto lì, a dispetto degli anni e dei raggi
cosmici.
In questo gioco ad incastro
della gravità, beffardo e misterioso, le albe ed i tramonti si susseguono come
a rincorrersi in un balenio continuo di luce e tenebre: ti squassa occhi e pensieri
questo balletto parossistico delle lune. Non so quali altri effetti produce su
di noi, non l’ho mai saputo né voluto sapere, in fondo io dovevo fare solo il
giardiniere, sia pure laureato. Sì, forse è meglio riderci sopra…
La sola cosa che mi pare importante
da sottolineare è che questo aspetto del pianeta, dopo appena un mese terrestre
che eravamo qui, aveva prodotto effetti devastanti: litigiosità e nervosismo,
malesseri improvvisi…fino a quando si è arrivati a chiudersi ognuno nel proprio
cubicolo, tralasciando ogni protocollo della missione.
E un giorno, quel giorno…
Ero uscito con grandi
sforzi per la solita inutile e faticosa esplorazione della desolazione del
pianeta. Quando sono tornato mi ha accolto un silenzio greve, nonostante tutte
le luci fossero accese. Avvicinandomi ho visto che la porta stagna era aperta e
mi sono subito allarmato; sono entrato e, in un brulicare di luci e qualche
pannello fumante, ho visto chiazze di sangue dappertutto: i mie compagni erano
tutti in un lago di sangue, Herman brandiva ancora nella mano un grosso tubo di
ferro, Jodie era riversa a terra come una bambola spezzata, a testa in giù. In
un angolo, con la faccia sfracellata c’era Sid, il più giovane di noi.
Non ricordo bene cosa ho
fatto, o forse non voglio ricordare: credo d’aver chiuso la porta stagna e
rimesso atmosfera nel locale,
Sì, ogni altra cosa è da
dimenticare: qui fuori ci sono tre tumuli impolverati dal vento come sola
testimonianza di quanto è successo. E poi ci sono io, da quanto tempo non lo so
più. Le trasmissioni verso la terra sono finite da un pezzo, come pure la
speranza che venga un aiuto qualsiasi.
Sono solo, Guardo le lune e
do un nome alle costellazioni, come facevo da ragazzino, mentre guardavo,
sognando il cielo stellato.
Sono qui. Invecchio qui,
lungamente. E qui morirò.
Tra poco aprirò la porta
stagna, ed uscirò, da uomo, senza difese…io, “il giardiniere”.
Chissà se muore davvero chi
sogna guardando le stelle?
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