domenica 4 agosto 2013

EBBREZZA di Paolo Secondini

                              
A Ulmar – sul pianeta Gedeon III, nell'immensa galassia di Krongiar – si può trovare un po’ di piacere e di passatempo da Larken.
Gestisce un locale di infima categoria, frequentato da tutta la feccia dell’Universo: aureliani, kròtici, sinkìli, punkaniani, bèrbesi, nervelliani, domonèi, e altra gentaglia di cui si ignora la provenienza e a quale razza appartenga.
Esseri con gambe sottili e viscide come tentacoli, con un occhio solo alla base del naso, con mani dotate ciascuna di dodici dita, con creste o squame al posto dei capelli, con gobbe adipose sul petto o sulla schiena, con denti aguzzi e ricurvi, con labbra nere, cascanti, e altre mostruosità le quali, a guardarle per lungo tempo, fanno venire il voltastomaco.
Sono questi i frequentatori abituali del locale di Larken, denominato L’alcova delle meraviglie.
* * *
«In questo lurido buco dovevi portarmi?» dissi al mio amico e socio in affari – praticamente ladri ambedue –, un dannato thelliano del pianeta Loton.
«Non fare lo schifiltoso come il solito, maledizione!» imprecò. «Vedrai! Questa volta gli acquisti di Larken non sono disprezzabili.»
«Li conosco assai bene!... Cosa mai potrebbe acquistare uno sporco taccagno come lui?» Crollai leggermente la testa. «La sua Alcova è piena di vecchie baldracche, per di più sdentate, grasse e puzzolenti.»
«Per quell’orbo di Squàith, il dio degli stupidi, vuoi ascoltarmi, dannazione?» insistette l'amico (tale per modo di dire). «Questa volta è diverso. Te l’assicuro... Attrazioni straordinarie da togliere il fiato, da fare uscire gli occhi letteralmente fuori dalle orbite.»
«Povero illuso!» replicai. «Soltanto i mentecatti come te credono a tutte le fanfaronate di Larken.»
Non rispose.
Si limitò con un dito a indicarmi una specie di palcoscenico in fondo al locale.
Due formose ragazze seminude vi si muovevano in modo sensuale, sulle note di una canzone appena percettibile, per via del continuo vociare e delle risate sguaiate dei molti avventori.
Nell'Alcova nessuno mostrava interesse per loro, come invece per le bevande alcoliche – severamente proibite dalla legge – che Larken comprava da contrabbandieri merquìsi.
«Be’?» fece il mio amico, dandomi un colpo di gomito nel fianco. «Vecchie baldracche dicevi? Sdentate, grasse e puzzolenti? Ne sei ancora convinto?»
Rimasi per un momento a bocca aperta, immobile, il respiro quasi sospeso. Non credevo ai miei occhi.
Scossi la testa.
«Per quello schifoso di Larken!» imprecai. «Ma dove ha potuto trovarle? Non è facile, sai?... È merce rarissima.»
«Eh, eh!» sogghignò il thelliano. «Che cosa ti dicevo?»
«Ma sono… sono…»
«Urdelliane, amico. Il meglio della galassia di Krongiar. Non troveresti donne più belle, più procaci, nel giro di parecchie zèrk.» Rimase un istante in silenzio, poi, ammiccando: «Una di quelle sulle ginocchia e scordi tutti i problemi che ti tormentano, perfino quelli di Gedeon III, per quanto te ne possa importare. Sei d’accordo?... Credo che tu le conosca assai bene, le urdelliane, per apprezzarne le qualità.»
Accidenti se le conoscevo!
Per più di un mese ero vissuto, con poca acqua e scarsissimo cibo, nel luogo più aspro e selvaggio del pianeta Hamos: il deserto di Khalem. Mi ci ero nascosto per sfuggire ad alcuni mercanti hevrenìti – da me truffati e alleggeriti di molto denaro –, che volevano farmi la pelle.
Ancor oggi mi chiedo come ho potuto, quella volta, scampare agli stenti ed eludere quanti, tenacemente, mi davano la caccia.
Avevo con me una giovane, affascinante urdelliana, acquistata per poche kopèkke – una vera miseria, devo dire! – da un vecchio berkusso intenzionato a disfarsene.
Ne feci la mia schiava. Non che la cosa le dispiacesse. Tutt’altro!
Pare, infatti, che per natura le urdelliane siano portate a dipendere dagli altri, a sottostare completamente all’altrui volontà.
Inoltre, bisogna sapere che la libidine è prerogativa della loro razza, come di altre, la rettitudine, l’onestà, la verecondia.
Quando la fame e la sete mi tormentavano atrocemente, per pensare ad altro (anzi, per cancellare qualsiasi assillo dalla mia mente) mi stendevo accanto a D’merth – così si chiamava la mia urdelliana –, disposta a soddisfare qualsiasi mio desiderio, anche il più inconfessabile.
Grazie alla sua sfrenata concupiscenza, vivevo per ore uno stato di indicibile ebbrezza, dimentico di tutto, perfino della mia esistenza.
Non avrei desiderato di meglio, in quei caldi momenti di passione, che morire beato tra le sue braccia, o perfino inabissarmi, assieme a lei, nel più fondo baratro dell’universo.

* * *
«Allora,» mi scosse dai miei ricordi l’amico thelliano, dandomi un altro colpo di gomito nel fianco (l’avrei ammazzato per questo!), «che cosa ne pensi? Sono o non sono di tuo gradimento?»
Non risposi.
Respirando con molta lentezza, osservavo le due urdelliane al centro del palcoscenico, illuminato a dovere per metterle bene in risalto.
Con movimenti e gesti lascivi continuavano allegramente a esibirsi nel loro numero.
Deglutii più volte, come davanti a una pietanza squisita, appetitosa, quando si ha fame.
«Dopo che avranno danzato per questi mostriciattoli,» riprese il mio socio in affari, volgendo la mano nel locale, «ci prenderemo ciascuno una di quelle urdelliane. Ce la spasseremo, vecchio mio! Soltanto due misere kopèkke per un’ora di ebbrezza. Sei d’accordo?»
Accidenti se lo ero!... Lo ero eccome, per Squàith!

2 commenti:

  1. Divertente racconto di fantascienza nel quale si nota l'influsso del filone ludico (gladiatorio e affini)tanto caro all'autore. E' pervaso da un sottile umorismo che accentua l'aspetto visionario della storia. Bello!

    Giuseppe Novellino

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  2. Un racconto fantascientifico alternativo.
    Molto bella l'esposizione.

    Antonio Ognibene

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